UN LABIRINTO FRA MARE E TERRA
Ai piedi della collina torinese, parallelo al Po, corre un viale alberato che dal centrale ponte Vittorio Emanuele I e dalla scalinata della Chiesa della Gran Madre porta a est, verso le vigne del Monferrato e le risaie del vercellese. Prima di uscire dalla città, corso Casale piega a destra, seguendo l'ansa del fiume, in prossimità di una chiesetta, la Madonna del Pilone, che dà il nome al quartiere. Proprio lì, sul muro di una casa che affaccia sul corso, anni fa è stata affissa una targa celebrativa dedicata a un grande scrittore italiano.
Fra queste mura
EMILIO SALGARI
Visse in onorata povertà
popolando il mondo di personaggi
nati dalla sua inesauribile fantasia
fedeli ad un cavalleresco ideale di lealtà e di coraggio.
Veronese di nascita, Salgari si trasferì a Torino nel 1900 con tutta la famiglia al seguito. Venne per lavoro, per scrivere meglio e di più e per vivere una vita di «onorata povertà», la sola che quella professione al tempo poteva garantire. Undici anni dopo il suo arrivo in Piemonte, la mattina del 25 aprile 1911, lo scrittore uscì di casa, si recò in collina, fra i boschi, e lì pose fine alla sua vita con un rasoio. Preoccupato per le finanze della famiglia e per la malattia della moglie, ricoverata in un sanatorio, si riservò una morte assai violenta e sanguinosa, simile alla sorte cui aveva condannato tanti avversari dei suoi eroi più famosi.
Fu uno scrittore a dir poco prolifico - gli vengono attribuiti 80 romanzi e almeno 150 storie brevi - ed è considerato uno dei più celebri "autori sedentari", perché scrisse di luoghi lontani ed esotici pur viaggiando pochissimo, men che meno nei luoghi che descrisse. Nonostante ciò, ed è questo il motivo che mi spinge ad amare la sua figura, narrò saghe incredibili ambientate nelle giungle dell'India, sulle gelide distese dell'Artico e dell'Antartico e negli arcipelaghi della Malesia. Armato di fervida immaginazione, consultava atlanti e mappe, enciclopedie e resoconti di viaggio, ricreando poi nella sua mente e quindi sulla pagina le torride atmosfere dei tropici, le lande desolate dei poli solcate da intrepidi esploratori e i mari di mezzo mondo, sui quali navigavano senza sosta ciurme di pirati.
Una delle sue storie più popolari, intitolata I misteri della Jungla Nera (1887), si apre proprio con una lunga e dettagliatissima descrizione, simile alla voce di un'enciclopedia. Non c'è il ramo del Lago di Como dei Promessi sposi, ma appartiene alla medesima famiglia di incipit panoramici.
Salgari prende i lettori per mano e li porta in India, proprio al confine dell'attuale Bangladesh e non lontano dalla grande metropoli di Calcutta, affacciata sul Golfo del Bengala, dove si aprono i delta di tre vie d'acqua imponenti: il Brahmaputra, il Meghna e il Gange.
Il Gange, questo famoso fiume celebrato dagli indiani antichi e moderni, le cui acque son reputate sacre da quei popoli, dopo aver solcato le nevose montagne dell'Himalaya e le ricche provincie del Sirinagar, di Delhi, di Odhe, di Bahare, di Bengala, a duecentoventi miglia dal mare dividesi in due bracci, formando un delta gigantesco, intricato, meraviglioso e forse unico. La imponente massa delle acque si divide e suddivide in una moltitudine di fiumicelli, di canali e di canaletti che frastagliano in tutte le guise possibili l'immensa estensione di terre strette fra l'Hugly, il vero Gange, e il golfo del Bengala. Di qui una infinità di isole, d'isolotti, di banchi, i quali, verso il mare, ricevono il nome di Sunderbunds.1
Quella che Salgari chiama Sunderbunds è una vasta foresta costiera e paludosa, attraversata dai rami innumerevoli di fiumi più o meno grandi, nota oggi come Sundarbans. Il primo groviglio che visitiamo è assai singolare, piuttosto lontano dall'idea di foresta tropicale che possiamo avere in mente. È infatti una "foresta d'acqua", popolata da un gran numero di mangrovie, piante capaci di crescere in ambienti acquitrinosi affondando le radici nel pantano sottostante, spesso caratterizzato da un'elevata salinità. Il mare, in fondo, sembra essere ovunque, anche a decine di chilometri dalla linea di costa. Infatti qui non c'è un confine vero e proprio fra l'acqua dolce dei fiumi che si ramificano tra gli alberi e quella salata che penetra nell'entroterra durante la stagione dei monsoni e con l'alta marea. Allo stesso modo, la fauna che si aggira fra le radici esposte delle mangrovie o nuota nelle acque torbide dei canali è ibrida e tollera la presenza di acqua salmastra.
Ancora Salgari:
Dite al bengalese di porre piede nelle Sunderbunds ed egli si rifiuterà; promettetegli cento, duecento, cinquecento rupie, e mai smuoverete la incrollabile sua decisione. Dite al molango che vive nelle Sunderbunds, sfidando il cholera e la peste, le febbri e il veleno di quell'aria appestata, di entrare in quelle jungle e al pari di un bengalese si rifiuterà. Il bengalese e il molango non hanno torto, inoltrarsi in quelle jungle, è andare incontro alla morte.2
Dobbiamo tenere presente che Salgari scriveva libri d'avventura con il chiaro obiettivo di accendere la fantasia dei giovani lettori, quindi era abituato a calcare la mano nelle descrizioni. Tuttavia, in questo caso è probabile che le sue parole non fossero poi così lontane dalla realtà. Ancora oggi, infatti, le Sundarbans sono un luogo difficile da attraversare, un vero e proprio labirinto situato fra mare e terra, capace di cambiare conformazione a seconda del flusso di marea. Pur non essendo il covo dei malvagi Thug, la setta di guerrieri devoti alla dea Kali avversari del cacciatore Tremal-Naik, protagonista del libro I misteri della Jungla Nera, la foresta costiera di mangrovie è fittamente abitata. È infatti la casa di tigri del Bengala e di numerose altre specie, fra cui delfini di fiume, orcelle (parenti strette delle orche), coccodrilli, volpi volanti, gatti selvatici, piccoli cervidi, innumerabili uccelli, pesci, crostacei e un numero immenso di altri invertebrati.
Su questo ecosistema di confine, costantemente rimaneggiato dagli elementi, gravano diverse minacce.
L'espansione e l'intensificarsi delle attività umane, come l'allevamento di gamberi e il taglio degli alberi, ne stanno compromettendo l'integrità al punto che, con il tempo, le Sundarbans potrebbero non essere più in grado di proteggere le fertili pianure dell'entroterra e la metropoli di Calcutta dall'imperversare dei monsoni e delle mareggiate che qui, da secoli, si abbattono con straordinaria violenza.
Un groviglio di radici
L'India è una nazione immensa, un vero e proprio caleidoscopio di popoli e culture. È anche assai popolosa: dopo aver superato la Cina nella primavera del 2023, è a oggi il Paese più abitato del mondo. Tutte queste persone non parlano soltanto l'hindi e l'inglese, le due lingue ufficiali, ma dall'Himalaya al Kerala esistono numerosi altri idiomi e un numero impressionante di dialetti. Il bengali, ad esempio, è tipico delle province occidentali dell'India e del Bangladesh, cioè proprio dove ci troviamo noi ora, nelle Sundarbans. Il nome di questa foresta ha un significato ben preciso per chi vive qui, a sud di Calcutta: Sundarbans vuol dire «bella foresta». Ma come spesso accade per i nomi evocativi, l'etimologia è incerta. Per alcuni, infatti, il termine deriverebbe dal nome locale di una specie di mangrovia, l'Heritiera fomes, che i bengalesi chiamano sundari, sunder o sundri. Qui, infatti, queste piante sono ovunque e costituiscono un ecosistema costiero caratterizzato da un'elevata biodiversità. Benché non si tratti di un tipo di foresta unico al mondo - esistono mangrovieti costieri nelle Americhe, in Africa e nel Sudest Asiatico, per una superficie totale che corrisponde all'incirca a metà del territorio italiano -, nelle Sundarbans le condizioni climatiche, i monsoni e la presenza del delta più vasto della Terra (quello del Gange) compongono uno scenario che non ha eguali.
A bordo di un bhotbhoti, una lancia a motore capace di inserirsi nei meandri della foresta d'acqua, entriamo nel groviglio impenetrabile e confuso. Le guide locali che ci accompagnano, tuttavia, identificano una pianta dopo l'altra di quelle che costeggiano i canali. Garjan, Bhara, Sundari, Peara Baine, Kripa. Il bengali non è meno evocativo del latino scientifico cui siamo abituati in Occidente. Quei nomi, elencati ad alta voce mentre la foresta scorre via, sembrano personaggi dell'epica indiana e divinità della mitologia induista. Non sfigurerebbero nei poemi della tradizione, come il Mahabharata o il Ramayana. Sebbene le mangrovie siano in assoluto la forma di vita vegetale predominante, le altre specie si contano comunque a centinaia. In alcune vie d'acqua che imbocchiamo, una di queste specie forma vere e proprie gallerie verdeggianti: è la Nypa fruticans, un'antica palma con foglie allungate e tronchi grigi, costantemente immersi nell'acqua bruna.
A prima vista una mangrovia...