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Siamo un paese coi nervi a pezzi per qualsiasi cosa, costantemente dentro un incubo clickbait. Apriamo lo smartphone e il più improbabile sito di news promette nell'ordine "bufera", "scintille", "shock". In Casa mia, presentata a Sanremo 2024, Ghali usava la metafora dell'alieno che guarda il mondo da un oblò (come avrebbero detto Gianni Togni ma anche Gianni Rodari e David Bowie) per scoprire che dall'alto i confini tra casa mia e casa tua si confondono, che differenza c'è? Citava pure il Truman Show, e non così banalmente come sembra. Alla fine del teatrino sul palcoscenico dell'Ariston, con accanto un pupazzone alieno nella recita tv più assurda delle ultime stagioni, pronunciava l'ultima battuta, che non è nel testo: "Stop al genocidio". È come se avesse messo la testa fuori dalla finestra, e noi con lui. Bufera. Meloni chiama Schlein al telefono. Scintille. La Repubblica il giorno dopo non fa uscire un'intervista di Ghali. Shock.
Qualcosa di globale s'è mosso. Forse la Palestina potrebbe essere il Sudafrica di questa generazione. La terra di chi non ha terra, la patria vietata ai figli senza cittadinanza, no ius soli, non-esistono-neri-italiani. Lo "stop al genocidio" pronunciato da Ghali ha annunciato uno smottamento politico-semantico le cui conseguenze sono andate avanti a lungo, con un'agitazione poche volte sentita attorno alle decennali tragedie del conflitto israelo-palestinese. Immediati i segnali: le scuse in diretta dell'amministratore Rai all'ambasciatore israeliano per bocca di "zia Mara" dopo l'ospitata di Ghali a Domenica In ("continua la politica del terrore, la gente ha paura di dire stop alla guerra"); la cerimonia di purificazione dello stesso Ghali al Che tempo che fa di Fabio Fazio di fronte al pubblico televisivo generalista e alla politica tutta; l'accusa che gli rivolge Il Giornale di aver accettato un premio dall'Associazione Palestinesi in Italia che è già "la succursale di Hamas", materiale pronto per la macchina social-televisiva della destra che mal sopporta la facilità dei trapper nell'orientare il discorso pubblico. E la sinistra? Pochissimo pervenuta.
Le personalizzazioni e le pagelle dei bestiari televisivi di cui i social in casi come questo abbondano sono parte del problema. La tv è fatta da autori, conduttori, produttori. Segue una logica narrativa che è frutto di negoziazioni e compromessi. Il segmento dell'ospitata di Ghali da Fabio Fazio (febbraio 2024) merita di essere ripercorso non per dare addosso all'uno o all'altro ma perché ci racconta qualcosa di interessante, primo tra tutti il fatto che la parola "genocidio" non è mai stata pronunciata neppure per essere messa in discussione. Pulizia semantica. Inizia con un'esibizione modellata sulle serate di Sanremo di due settimane prima. Il pubblico televisivo adulto che meno conosce il cantante - ragazzini e ragazzine sono quasi dieci anni che riempiono palazzetti e lo seguono sui social - ritrova il suggestivo attacco arabo-tunisino di Bayna, poi Cara Italia, già inno delle seconde generazioni, infine il sanremese Casa mia con la rima sull'ospedale bombardato per un pezzo di terra. Manca L'Italiano di Cutugno. L'idea che l'ex trapper di Baggio da tempo in transizione verso una figura di pop star più tradizionale peschi nella scrittura di testi pop-ulisti celentaneschi è decisamente suggestiva e molto Seconda Generazione. Gli auguriamo ogni bene.
Dunque, alla fine dell'esibizione a Che tempo che fa il pupazzone alieno Rich Ciolino, mascotte di Ghali, rientra per la ripetizione della scena madre dell'ultimo Festival di Sanremo, gli unici trenta secondi su trenta ore di diretta che varranno una citazione nei futuri manuali di comunicazione. Dice qualcosa all'orecchio di Fazio: "Stop a tutte le guerre", riferisce il conduttore, e basta coi massacri. In realtà il pubblico a casa sa che il pupazzone ha appena ripetuto la parola tabù: genocidio. Qui siamo molto oltre la politica, siamo nel teatrino di varietà, dentro i nervi scoperti dell'opinione pubblica. Nel breve sketch il conduttore se la prende pure con "quelli che li vogliono aiutare a casa loro" a segnalare l'avvenuto scambio, la promozione ottenuta da Ghali a nuovo cantautore, un De André 3.0 buono per i figli e i genitori.
Genocidio resta la sliding door. Fazio, l'ex conduttore di Sanremo rimette in scena il caso Ghali così come sarebbe dovuto andare nella serata del Festival. Cavalca l'equivoco per domandarsi "cosa c'è di divisivo nel chiedere la pace?", per poi ripetere di nuovo il "mantra del 7 ottobre" come lo chiamano già su tutti i social, scatenati dopo aver capito dove andava a parare l'ospitata. Già che c'è, assolve La Repubblica e l'intervista a Ghali non pubblicata, citando una precedente conversazione tra il trapper e Michele Serra, ospite fisso del programma. Tutto a posto. Insomma.
Nel pezzo apparso sulla copertina del Venerdì Serra andava a bere un caffè al bar con Ghali, citando l'ottava rima e i cantautori, senza fare una piega sul resto: trap, tatuaggi, canne, scemenze. Giù a Baggio, il "bar tabacchi gestione cinese sotto la casa popolare dov'è cresciuto", ci mancherebbe. A occhio, il controcampo dell'intervista è un'intera crew di pierre, truccatori, parrucchieri, amici e manager, forse anche mamma. Per la gioia del barista cinese. Sempre adorabile Ghali nella conversazione. Bella la storia che in classe il prof gli leggeva i temi ad alta voce (è una cosa che aveva raccontato trent'anni fa uno dei Niggaz With Attitude per dire che i gangsta non sono poi così tanto gangsta ma soprattutto scrittori mancati). Bella anche la frase: "Sanremo arriva al momento giusto, nell'ultimo anno ho cercato di seguire i segnali di Dio". Cinque righe più giù: "E poi Amadeus ci teneva". Ecco, questo profumo di misticismo pentecostale, un po' tipo calciatore alla Coppa d'Africa prima della finale inshallah ça va teniamolo presente, perché in questo modo Ghali riscrive completamente quel che pensavamo di sapere su canzoni e impegno politico.
A conti fatti, il trattamento di Fazio (e Serra) a Che tempo che fa mostra poca o nessuna differenza con quello di zia Mara. Soltanto la scelta di una crudeltà meno muscolare e disumana di quella esibita in certi talk show ed evidentemente in crisi di efficacia, dal momento che è stato sufficiente il soffio di un pupazzo a metterla in difficoltà. Basterà? Ghali ricorda un Michael Jackson nordafricano, la stessa fisicità diafana e filiforme. Ha negli occhi la follia del primo Cheb Khaled. Balla sulle uova. Coi palazzetti già pieni in prevendita, trova la stessa tranquillità nel pronunciare ancora la parola "genocidio" con una bandiera della Palestina tra le mani al Forum di Assago, a fine ottobre 2024. Chi meglio di lui, la prima pop star e influencer Seconda Generazione, testimonial per brand di lusso come McDonald's, può portare un po' di attenzione mediatica su questo tema? O questa è una visione piccoloborghese?
Nel 1976 la Premiata Forneria Marconi, che allora era la band più famosa del nostro rock progressive, partecipò a un concerto di sostegno alla Palestina al Palasport di Roma e si vide annullare molte date della tournée americana che avrebbe decretato il suo definitivo successo internazionale. Di lì a poco il gruppo si sciolse. Di seguito: i Clash, il combat rock, USA for Africa, la retorica dei Modena City Ramblers al concerto del Primo Maggio.
In un'analisi pubblicata da Rolling Stone USA in occasione del cinquantesimo compleanno del rap, festeggiato nell'estate 2023, i due attivisti-scrittori Andre Gee e Timmhotep Aku tirano le somme e sostengono che secondo loro l'hip hop ha perso tutta la forza politica degli inizi, i legami con l'eredità delle Black Panther e le altre organizzazioni di difesa delle comunità afroamericane. Persino in occasione di Black Lives Matter - dicono - il rap ha fatto il minimo sindacale.
Nel rap - aggiungono - dominano soprattutto le storie ipercapitaliste trumpiane dove si racconta come si fanno i soldi. E Drake che fa "musica da shopping", i soldi li spende. Giustissimo, non è una grande scoperta.
Nell'album di Ghali Pizza Kebab Vol. 1 - uscito a dicembre 2023 - non c'era ancora nulla che parlasse di Gaza. Trap, strada e soldi, niente argomenti indigesti all'algoritmo e alle case discografiche. Però nel luglio 2022 Ghali aveva comprato una scialuppa di salvataggio per donarla alla ONG Mediterranea: Bayna come il titolo di una sua canzone. Dicono abbia salvato fin qua 227 vite. E questo cambia di parecchio il punto di vista. "Sto", come direbbe lui.
Il 7 aprile 2024 pubblica su Instagram una foto dalla Mecca, dove è in pellegrinaggio. Il mese dopo esce Paprika, un pezzo così così con due ganci curiosi. Il primo è una rima con "Rai" che ricorda in maniera vaghissima la vicenda delle scuse all'ambasciatore israeliano a Domenica In. Ghali, tra l'altro, è recidivo in questo tipo di clash politici avendo mandato a quel paese Salvini anni fa in tribuna autorità a San Siro durante un derby Milan-Inter ("Cosa esulti? Ha segnato un n**ro come me!"). Il secondo gancio è quando viene...
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