INTRODUZIONE
di Valentina Parisi
Mosca, chi sei?
Incanti o sei incantata?
Scateni libertà,
o sei incatenata?
Qual pensiero corruga la tua fronte,
cospiratrice mondiale?
Sei forse una chiara finestra,
che dà su altri tempi,
o piuttosto una gatta esperta;
le scienze ingiungono di crocifiggerti
sotto taglienti rasoi di eruditi sagaci,
fossilizzati sopra un vecchio libro?
Sullo scrittoio
fra gli allievi.
Fuoco d'altri secoli
oh, il barile di polveri
scoppio di (tue) catene.
VELIMIR CHLEBNIKOV, 15 dicembre 1921
"Mosca è cresciuta piano. Ecco come mai nelle sue parti ha conservato finora intatte le tracce che la Storia le ha impresso." Da quel lontano giorno di fine '800 in cui Pëtr Kropotkin, principe di antico lignaggio e teorico dell'anarchismo, iniziò con queste parole le sue Memorie di un rivoluzionario qualcosa sembra essersi irrimediabilmente infranto. Il '900 ha capovolto il paradigma di uno sviluppo lento e ante litteram sostenibile, per sostituirlo in epoca sovietica con un irresistibile slancio in avanti e poi, nei decenni seguiti alla dissoluzione dell'URSS, con un'espansione sempre più convulsa che inghiotte e spesso cancella le sopravvivenze del passato. "Decrescita" è una parola ignota a Mosca. Molto più frequente è invece il termine "megalopolis", negli ultimi tempi ripetuto da tutti con un'enfasi insieme orgogliosa e preoccupata. Non è infatti chiaro fin dove sia destinata ad arrivare Mosca in futuro, né quale densità possa raggiungere all'interno dei suoi confini storici. Già stimarne la popolazione attuale risulta un'impresa disperata. Non c'è infatti censimento o statistica che, a scanso d'equivoci, non si affretti a precisare come ai dati ufficiali (peraltro incerti: dodici milioni? tredici?) vada aggiunto un numero fluttuante di presenze invisibili: sans-papier giunti per lo più dalle ex repubbliche sovietiche dell'Asia centrale, braccia quanto mai indispensabili alla crescita implacabile della capitale. D'altronde, la stessa struttura concentrica della città (eredità del suo passato di fortezza) pare garantire un allargamento a macchia d'olio potenzialmente illimitato.
Scalfita in profondità dal Piano generale di ricostruzione voluto da Stalin negli anni '30 (quando il disordine pittoresco delle viuzze dell'antico centro mercantile venne dichiarato incompatibile con le esigenze della modernizzazione sovietica), Mosca attraversa ora l'ennesima fase di trasformazioni che, in accordo con l'attuale età post-utopica, riflette non tanto un'idea nuova di città, bensì una miriade di interessi privati non si sa quanto armonizzabili tra di loro. Se il segretario del Comitato centrale Lazar' Kaganovic nel 1935 affermava che era giunta l'ora di raddrizzare e ampliare le strade, rimediando all'arbitrio dei progettisti prerivoluzionari, i quali avevano costruito secondo le preferenze dei loro ricchissimi committenti, adesso la superficie urbana si è invece trasformata in un ghiotto territorio di caccia per i divelopery (developers) e la speculazione edilizia. E la popolazione è diventata ostaggio di una serie di interventi urbanistici calati dall'alto per volere del sindaco Sergej Sobjanin con il rassicurante nome di renovacija, ossia rinnovamento. Anche se, per il loro forte impatto visivo, tali sconvolgimenti evocano piuttosto i tempi in cui, dietro ordine di Stalin, gli edifici di ulica Gor'kogo (ex ulica Tverskaja) venivano appoggiati su rotaie e spostati per allargare la sede stradale. Al contrario, oggi le carreggiate della Tverskaja (tornata nel 1990 alla sua denominazione storica) e di molte altre strade vengono ristrette - senza riposizionare le case, ma più semplicemente ingrandendo i marciapiedi - in ossequio al sogno di Sobjanin di tramutare Mosca in una città pedonale: Moskva pesechodnaja è infatti la nuova parola d'ordine. E questo a dispetto della sua estensione e del clima che, per buona parte dell'anno, non invita esattamente alla flânerie.
Nel contempo, nonostante la tendenza a estendersi orizzontalmente e a inglobare nuovi territori, la capitale russa è tornata a svilupparsi anche lungo l'asse verticale - un orientamento spaziale che Vladimir Papernyj, nel suo studio sull'architettura staliniana Cultura due (scritto tra il 1975 e il 1979 e finalmente tradotto anche in italiano) associa agli anni '30 e alla mentalità totalitaria. L'esempio più eclatante è, ovviamente, la selva di vetro e acciaio della City, complesso in costruzione sin dal 2001 su una delle tante anse del fiume Moscova. Qui, in un paesaggio ormai compiutamente artificiale, quasi post-umano, tra grattacieli superiori ai trecento metri, è stata completata quest'anno la Torre della Federazione, progettata da Sergej Coban, con i suoi 374 metri l'edificio più alto d'Europa. Ma una tendenza ancora più capillare alla verticalità è visibile nel progetto di abbattimento delle case a cinque piani fatte costruire da Nikita Chruscëv negli anni '60 (le cosiddette chruscëvki), sostituite gradualmente da palazzi molto più alti. Se le conseguenze di questo futuro addensarsi della popolazione sul traffico, sui trasporti pubblici e sulle altre infrastrutture non sono ancora ben chiare, è invece certo il trasferimento già in atto degli ex inquilini delle chruscëvki oltre quelle autentiche colonne d'Ercole rappresentate, nella mentalità del moscovita medio, dalla tangenziale mkad. Lontano quindi da quel centro destinato a diventare (forse) pedonale per i fortunati che potranno permettersi di abitarvi.
Si aggiunga a questo l'atteggiamento a dir poco disinvolto dimostrato dall'amministrazione nei confronti della tutela dei beni architettonici, e si capirà come Mosca oggi, purtroppo, non sia più la città che nell'inverno 1925-1926 colpì Walter Benjamin per la quantità di cielo e gli squarci sull'orizzonte visibili tra una casa e l'altra. Eppure già all'epoca - e il filosofo tedesco se ne rese conto ben presto - la capitale russa non era meta da flâneur: troppo caotica, affollata e frenetica per offrirsi a un'esplorazione svagata, priva di una meta precisa. "Portare al guinzaglio delle tartarughe lungo le sue vie", come Charles Baudelaire suggeriva di fare a Parigi, si rivelava già allora un'attività frustrante se non disperata: a meno di non capitarvi d'estate, quando i ritmi inevitabilmente rallentano e l'atmosfera si fa talvolta stranamente sospesa, Mosca non è disposta a lasciarsi scoprire lentamente, e tende piuttosto a soverchiare il visitatore con una miscela di stimoli visivi, sonori, perfino olfattivi. Immaginarla come una città nordica, "fredda" e distaccata sarebbe infatti un errore madornale: Luciana Castellina ricorda che, quando vi approdò per la prima volta nel 1957 in occasione del Festival della Gioventù, aveva l'impressione di essere sbarcata a Napoli. Tale sensazione resta ancora valida, nonostante il recente restyling del centro storico. Al contempo, Mosca è una città ovviamente estranea all'accidia mediterranea e chiede di essere osservata e percorsa a passo di marcia. Al di là di alcune zone circoscritte deputate al passeggio (i boulevard, guarda caso), il mito novecentesco della velocità qui è ancora presente ed è davvero difficile, anche per chi nutre velleità da flâneur, non lasciarsi contagiare e travolgere dalla frenesia dei suoi abitanti.
Per non smarrirsi in un simile caos occorrono punti di riferimento. E una chiave di lettura per decifrare il volto spesso non immediatamente intelligibile della capitale russa potrebbe essere proprio il suo travagliato rapporto con il potere. La scelta di Mosca come città ribelle può sembrare a prima vista sorprendente, specie nel centenario della Rivoluzione bolscevica: ma come, non era San Pietroburgo (all'epoca Pietrogrado, poi Leningrado) a essere considerata la "culla dell'Ottobre"? Indubbiamente, ma è altrettanto vero che è Mosca ad assistere nel XVI e XVII secolo - ben prima che Pietro il Grande fondasse la sua capitale affacciata sul golfo di Finlandia e sull'Europa - ai primi tumulti popolari e alle prime proteste di classe mai verificatisi in Russia: dai disordini avvenuti in seguito al grande incendio del 1547 fino alle sommosse seicentesche contro lo strapotere dei boiari, vale a dire la rivolta "del sale" del 1648 e quella non meno violenta "del rame", scoppiata nel 1662. Nel '600 ha inizio anche la poco lusinghiera tradizione per cui è a Mosca che i ribelli da ogni angolo dell'impero vengono trascinati per andar incontro al supplizio inflitto loro dagli zar o dalle zarine. Così sarà per Sten'ka Razin, il cosacco del Don istigatore di una jacquerie nel sud del paese, poi squartato sulla Bolotnaja ploscad' il 6 giugno 1671, nonché per il suo emulo Emel'jan Pugacëv, fatto giustiziare da Caterina II sulla stessa piazza il 10 gennaio 1775. Sempre a Mosca, verso la metà del XVII secolo, si consuma lo scisma tra la Chiesa ufficiale e quella "eretica" dell'arciprete Avvakum, il quale, insieme a un gruppo di fedelissimi, si era opposto alle riforme liturgiche introdotte dal patriarca Nikon. È emblematico come in Russia il filone letterario della narrazione dell'io si inauguri proprio con l'autobiografia di un disobbediente, quella scritta da Avvakum...