Storia; Letteratura e arti; Territorio e natura; Shopping; Cucina.
Cape Town, la città madre; La rotta dei vini; La rotta dei fiori.
Il nordovest, sulle tracce dei pionieri: la Breede River Valley e il Klein Karoo; il Cederberg e il Great Karoo; il Namaqualand e il Kalahari meridionale.
La costa delle balene e la Garden Route; Wild Coast; Durban, l'indiana.
L'interno: Zululand e Drakensberg.
Le etnie di Mpumalanga; Magico Mpumalanga; Kruger, il padre dei parchi africani.
Johannesburg, cuore africano e cosmopolita; Pretoria, la Vecchia Signora; Sun City e il parco nazionale Pilanesberg; Il parco nazionale Marakele e le riserve di Welgevonden e Lapalala.
1.2 Letteratura e arti
La letteratura
La cultura orale precoloniale, fatta di favole e leggende tramandate oralmente, di odi celebrative rivolte soprattutto agli avi - in qualche modo corrispondente al nostro bagaglio epico che celebrava gli eroi dell’antichità - e tanto altro ancora, meriterebbe un capitolo a sé. Con l’arrivo degli europei si produce - spesso in forma di diari - una letteratura dei navigatori, dei viaggiatori (il francese François La Valliant) e dei naturalisti, atta a documentare le loro gesta avventurose e l’entusiasmo per la scoperta di nuovi mondi. La letteratura dei coloni e della Frontiera - che ha analogie con quella dei pionieri americani - è appassionante, dal punto di vista della cronaca ma anche della psicologia, nell’affrontare mondi affascinanti quanto ostili. Si arricchisce quando si verifica la corsa all’oro (Francis Slater, Toon van den Heever); è ancora presente l’influenza della poetica romantica inglese (Thomas Pringle) ma ben presto si distingue una letteratura prettamente legata al carattere dei luoghi, popolata di racconti della vita dura e semplice in Africa. Come gli scritti di Louis Leipoldt e ‘The Story of an African Farm’(1883) di Olive Schreiner, di origine tedesca e nata in una missione. Questo è considerato il primo vero romanzo della letteratura sudafricana: tratta della condizione femminile esprimendo anche le prime avversioni alla mentalità coloniale. Ma la letteratura del tempo, soprattutto, è popolata da figure romantiche: pensiamo a ‘Jock of the Bushveld’ (1907) di Percy Fitzpatrick, divenuto il classico per eccellenza, e a ‘Le miniere di Re Salomone’ (1885) e ‘She’ (1887) di Henry Haggard, a cui si ispireranno più tardi Sir Laurens van der Post e Wilbur Smith. Intanto, con l’avvento delle missioni inizia l’alfabetizzazione degli africani, e si hanno molteplici traduzioni dei Testi sacri.
Sarà l’apartheid, secondo i più, a favorire l’affermarsi di una copiosa letteratura moderna in Sudafrica. Si parla di letteratura ‘bianca’ e letteratura ‘nera’, come risultato di lunghe influenze culturali e ambientali distinte, ma poiché entrambe si fondano proprio sulle relazioni tra i due universi di questo paese, sono intrinsecamente imprescindibili. Come nota la prof. Itala Vivan, massima esperta italiana di letteratura sudafricana, “il grado di mescolanza, contaminazione e meticciato che si è prodotto tra le culture e le genti“ è stato “ben più alto e qualitativamente importante di quanto si sia voluto o saputo riconoscere e ammettere sinora“. Ella prevede che “ci sarà molto da scoprire in futuro: in Sudafrica non si è avuto soltanto un processo di cristianizzazione e di occidentalizzazione dei neri, ma anche un’africanizzazione dei bianchi, tanto più forte proprio là dove meno ci si aspetterebbe, e cioè tra la popolazione afrikaner“ (da: Il Nuovo Sudafrica. Dalle strettoie dell’apartheid alle complessità della democrazia, a cura di I. Vivan, La Nuova Italia, Firenze 1996).
I primi importanti autori neri emergono dopo l’applicazione delle leggi razziali: Sol Plaatje in ‘Native Life in South Africa’ (1916), che registra le conseguenze del Land Act del 1913, e Thomas Mofolo, ‘Chaka’, (1925), in cui il leader zulu Shaka è dipinto come una personalità complessa, che subisce al suo interno un’aspra lotta tra il bene e il male. Ma il primo vero romanzo della letteratura nera è considerato ‘Mhudi’, 1930, di Sol Plaatje (primo dirigente del nuovo South African Native National Congress, che diverrà ANC). La scoperta di grossi giacimenti d’oro e di diamanti fa sentire i suoi effetti, oltre che sull’intera economia e società dell’Unione Sudafricana, anche sulla letteratura, con una decisa deviazione dell’attenzione verso la vita urbanizzata. Da una parte si sviluppa una letteratura boera nostalgica, che nasce dalla preoccupazione degli afrikaners rimasti spiazzati dall’egemonia commerciale degli inglesi e dalla concorrenza della manodopera nera, tanto che avviene una vera e propria lotta tra poveri e una crisi di identità boera: opere accorate celebrano il popolo afrikaner, altre più delicate e importanti, come ‘The Beadle’ (1926) e ‘The Little Karoo’ (1925), di Pauline Smith, raccontano il consolidarsi di una classe povera bianca e immortalano la sua origine rurale. Queste opere, con ‘Mafeking Road’ (1947) di Herman Charles Bosman (in modo più ironico), si occupano di uno spaccato della popolazione che non è più europea ma non è ancora africana (e visitando il paesino Groot Marico, a 200 km da Pretoria verso Zeerust, si rivivrà in pieno l’atmosfera da lui narrata).
Mentre stavamo sdraiati dietro la roccia vedemmo, lontano sulla strada, due cavalieri avanzare al galoppo. Restammo perfettamente immobili e li lasciammo avvicinare fino a circa quattrocento passi. Erano ufficiali inglesi. Montavano cavalli di prim’ordine e le loro uniformi erano molto raffinate ed eleganti. Erano gli uomini più eleganti che avessi visto da un bel pezzo, e provai vergogna per le mie rozze braghe e i miei scarponi. Ero felice di essere dietro ad una roccia, dove non potevano vedermi. (The Rooinek - H. Charles Bosman)
D’altra parte, negli stessi anni, si pongono le basi di una letteratura proletaria nera: ‘Mine Boy’(‘ragazzo di miniera’, 1946) del meticcio Peter Abraham, espone le terribili condizioni in cui si ritrovano a vivere gli africani della campagna.
Alan Paton esalta la genuina africanità legata alla vita rurale, l’indistruttibile archetipo - celebrato anche da Sol Plaatjie - attraverso cui solo può permanere una distinzione dall’essenza europea. Con ‘God’s Stepchildren’ (1924) Sarah Millin esamina l’affermazione ulteriore del maschio bianco ottenuta attraverso la colonizzazione dell’Africa, in cui si esprime la sua fatale dominanza nel panorama dell’umanità. In questi autori degli anni ’20 e ’30, anche con l’espediente delle avventure amorose interrazziali, non manca un certo paternalismo nei confronti della razza nera in procinto di perdere la sua purezza primitiva.
Il posto di lavoro dove erano stazionati era giù, in profondità, al diciottesimo livello. Il calore a quel livello era terribile [...] Dietro, la loro vita era minacciata da una voragine spalancata e desolata; mentre davanti una nuda e stridente roccia si levava a picco su di loro. [...] Boss Tom li faceva spalare come se le Furie li stessero inseguendo. (The Death of Masaba - Rolfes Dhlomo)
Negli anni ’40 matura la prima generazione di neri educati nelle missioni e con la nascita dei movimenti di liberazione dall’apartheid decolla la letteratura nera di denuncia e protesta: ‘Man must live’ (1947) e ‘Down Second Avenue’ (1959), che narrano la vita nelle townships, fanno di Es’kia Mphahalele uno dei maggiori esponenti della letteratura sudafricana. Nel 1948, proprio l’anno in cui il National Party sale al potere dove resterà per mezzo secolo, esce ‘Cry, the beloved country’ di Alan Paton, che resta ancor oggi il romanzo sudafricano più conosciuto. E’ la storia di un prete nero che in un viaggio in città alla ricerca di suo figlio non resta immune dalle tentazioni corruttrici della società urbanizzata. Fu il primo romanzo a denunciare in modo inequivocabile il problema razziale istituzionalizzato del Sudafrica, pur distaccandosi da una risposta violenta.
Negli anni ’50, quando viene redatta la Carta delle Libertà contro il razzismo, il cuore del movimento diviene ‘Drum magazine’, una testata fondata nel 1951 a Sophiatown (quartiere-ghetto di Johannesburg), che ospita racconti brevi e giornalismo di denuncia di ispirazione in parte anche americana. Resta la più vera voce urbana dei neri, costellata di tsotsis (gangsters) e descrizioni dei bassifondi. Gli autori della cosiddetta Drum Generation (Robert Crisp, Nat Nakasa, Henry Nxumalo, Solomon Plaatjie) spesso muoiono in esilio: lo stesso Nakasa muore suicida a New York. Altri grandi nomi come Can Themba (‘The Suit’, 1963) danno vita al magazine d’arte contemporanea ‘The Classic’.
Fiorisce anche molta autobiografia di influenza americana: ‘Tell Freedom’ (1954) di Peter Abrahams, ‘Blame me on history’ (1963) di Bloke Modisane, e nascono in città i musical in cui emergono cantanti - spesso schierati - come Yvonne Chaka Chaka, Brenda Fassie, Miriam Makeba.
Si affermano molti poeti bianchi: Ruth Miller, Lionel Abrahams, Douglas Livingstone, Stephen Gray. In generale la letteratura è caratterizzata da una crescente coscienza politica (la Black Consciousness) e accompagna lo strutturarsi della rivolta; con gli anni ’70 esprime la resistenza individuale e collettiva all’apartheid, un esempio per tutti ‘Time of the Butcherbird’ (1979) di Alex la Guma. Dopo ‘Drum Magazine’, per dare più voce alle comunità emarginate ed a giovani creativi emerge ‘Staffrider Magazine’, che scopre le sottoculture delle township divenendo una finestra sulle correnti di pensiero giovanile. Contemporaneamente nascono molte opere dal ghetto di Cape Town: District Six, omologo di Sophiatown ma popolato soprattutto dalla popolazione coloured e malese del Capo, con Alex la Guma (‘A walk in the night’, 1962) e Richard Rive (‘District Six’, 1986).
Il movimento si stringe intorno a Steve Biko, leader e martire della rivolta degli studenti del ’76; suoi scrittori sono Sipho Sepamla, Christopher van Wyk, Mongane Serote, suoi poeti Dennis Brutus, Arthur Nortje e altri. La produzione relativa alla repressione e alla censura esprime maggiormente la voce anti-apartheid dei sudafricani ‘non neri’: Richard Rive (‘Emergency’, 1964), Lewis Nkosi (‘The Rythm of Violence’,...