Una strada nuova
Prefazione all'edizione italiana
Il 19 agosto 2011, di prima mattina, Daw Aung San Suu Kyi, accompagnata da un assistente e da ufficiali dell'intelligence della polizia, ha lasciato in automobile la sua villa di Rangoon sul lungolago. Dopo aver attraversato la periferia estesa e verdeggiante della città, si è diretta a nord per circa 400 chilometri su un'autostrada a quattro corsie, superando infinite risaie verde scuro, allagate dalle piogge monsoniche. La meta del viaggio era Naypyitaw, la capitale costruita ad hoc, dove fino ad allora non aveva mai messo piede. È molto probabile che lei e i suoi compagni si siano fermati a metà strada al «Feel Restaurant», che offre un buon caffè forte e spuntini salati birmani, per poi continuare ancora un paio d'ore e infine girare a destra verso la città nuova, appena prima del grande cartello che indica che quella è la strada per Mandalay.
Ufficialmente, Aung San Suu Kyi stava andando a un seminario su «Sviluppo rurale e riduzione della povertà». La vera ragione del viaggio, però, era un appuntamento, fissato con grande riservatezza nei giorni precedenti, con il nuovo presidente U Thein Sein.
E così, dopo aver presenziato a una sessione del seminario e aver parlato nella pausa caffè con vari pezzi grossi del mondo degli affari, burocrati ed ex ufficiali dell'esercito, Aung San Suu Kyi è stata accompagnata dall'altra parte della città alla ciclopica residenza del presidente, con le sue colonne corinzie e i pavimenti in marmo, per il primo faccia a faccia in più di un decennio tra un capo di governo birmano e il premio Nobel per la pace.
Nella fotografia fornita in seguito alla stampa sono ritratti insieme, entrambi con un mezzo sorriso; Aung San Suu Kyi indossa ancora il tesserino verde del seminario sulla povertà, e sullo sfondo spicca un ritratto di suo padre, il generale ed eroe nazionale Aung San. Dopo una lunga conversazione, i due hanno raggiunto insieme gli appartamenti privati di Thein Sein, dove la moglie del presidente ha accolto calorosamente l'ospite.
L'incontro è stato un punto di svolta, dopo due mesi di tensione durante i quali nessuno sapeva da che parte tirasse il vento. Aung San Suu Kyi aveva progettato un tour del Paese senza avere il permesso ufficiale, esponendosi così al rischio di essere arrestata e di scatenare un nuovo ciclo di proteste antigovernative e di repressione. Ma il dialogo è andato a buon fine. In seguito, parlando ai giornalisti, Aung San Suu Kyi ha elogiato pubblicamente il presidente. E lui le ha poi permesso di organizzare il suo partito come meglio credeva.
Poco dopo sono stati presi altri provvedimenti. La legge per la registrazione dei partiti è stata emendata in modo soddisfacente per la Lega nazionale per la democrazia, che si è prontamente registrata. A settembre e a gennaio sono stati liberati centinaia di prigionieri politici, compresi i dissidenti di rilievo. Tutto ciò rientrava nell'accordo concluso tra il presidente Thein Sein e Aung San Suu Kyi. Lei ha ribadito spesso in pubblico che riteneva «sincero» l'impegno del presidente per un futuro migliore e, dietro le quinte, ha trattenuto gli attivisti dell'opposizione dallo scendere in piazza.
Nel frattempo, il presidente passava da una mossa audace all'altra. Le pesanti restrizioni sull'uso di Internet sono state eliminate e si è allentata la censura sui media. Gli esiliati sono stati invitati a tornare nel Paese e alcuni sono addirittura diventati consiglieri del governo. Il 30 settembre, compiendo così il suo intervento più coraggioso, U Thein Sein ha inviato un messaggio al parlamento - lo Hluttaw, dal nome dell'antico consiglio giornaliero dei ministri del re - per annunciare che avrebbe sospeso i lavori sulla diga cinese di Myitsone, nel lontano nord, un progetto da svariati miliardi di dollari. Da anni i kachin protestavano contro la diga, che aveva costretto migliaia di persone ad abbandonare le proprie case. E da mesi gli attivisti di Rangoon lanciavano allarmi disperati sull'impatto ambientale di quel progetto. Ma erano in pochi a immaginare che il presidente avrebbe interrotto i lavori, rischiando le ire di Pechino.
Questo colpo da maestro ha fatto capire che il presidente era all'ascolto del popolo e, cosa non meno importante, ha mostrato all'Occidente che il governo non è più a suo agio con la stretta cinese. Non è stata dunque una coincidenza se a metà novembre, durante un vertice a Bali, in Indonesia, è stata confermata la presidenza birmana dell'Asean per il 2015, fino a poco prima molto discussa. Barack Obama aveva da poco dichiarato che, con il ridimensionamento della presenza statunitense in Iraq e in Afghanistan, l'Asia sarebbe diventata la nuova «priorità». Meno di due settimane dopo, per appoggiare le riforme in corso e segnalare un accresciuto impegno statunitense alle porte della Cina, Obama ha mandato in Birmania Hillary Clinton, il primo segretario di Stato americano a mettere piede nel Paese dopo la visita di John Foster Dulles nel 1955.
Il viaggio di Hillary Clinton ha aperto la strada a una valanga di visitatori importanti, tra cui il miliardario filantropo George Soros, il primo ministro britannico David Cameron e il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. Il numero dei turisti è aumentato di colpo e Condé Nast ha dichiarato il Paese «una destinazione da tenere d'occhio nel 2012».
Si sono fatti passi importanti anche per riformare l'economia: ad aprile 2012, per esempio, si è deciso di abolire il vecchio regime insensato dei cambi fissi e di dare il via a una fluttuazione controllata della moneta. Sono arrivati centinaia di imprenditori alla ricerca di nuove opportunità, anticipando così la fine delle sanzioni occidentali. Voli e alberghi si sono ritrovati al completo per settimane e gli affitti delle case sono saliti vertiginosamente, superando i 10.000 dollari al mese.
Proprio le questioni economiche hanno occupato molto il parlamento, che lungi dal dimostrarsi un fantoccio, si è rivelato un'istituzione nuova e dinamica. I sindacati sono stati legalizzati e la libertà di riunione concessa. Ci sono stati accesi dibattiti intorno ad altri disegni di legge, come quelli sui diritti alla terra e sull'amministrazione locale. Alcuni temevano che i militari nominati in parlamento - un quarto dei seggi - avrebbero ostacolato le riforme, ma non è successo. I militari hanno proposto un unico disegno di legge, per imporre ai media un maggior rigore ortografico. Molti di loro hanno sostenuto una mozione per liberare tutti i prigionieri politici. I ministri sono stati interpellati in aula e il bilancio - il primo bilancio dello Stato presentato a un parlamento birmano in mezzo secolo - è stato vagliato con attenzione e approvato solo dopo l'accettazione da parte del governo di importanti modifiche.
Quella settimana, nello stesso giorno, un vecchio negoziante occhialuto e un ex generale, ora ministro del governo, mi hanno detto entrambi la stessa cosa: «Ora non si torna più indietro».
Si è rivolta attenzione anche ai conflitti armati. I cessate il fuoco, la maggior parte dei quali in vigore da fine anni Ottanta inizio anni Novanta, hanno cominciato a dissolversi. Il presidente Thein Sein ha espresso chiaramente la volontà di raggiungere rapidamente non solo nuovi cessate il fuoco, ma una pace definitiva con tutte le milizie etniche. A sud, lungo il confine thailandese, si è raggiunto un successo notevole. A nord, invece, la tregua di diciotto anni con il Kachin Independence Army è andata in frantumi e scontri sanguinosi hanno costretto alla fuga decine di migliaia di persone.
Tutto sommato, però, il progresso è stato evidente, al di là di ogni aspettativa. Si è trattato di un processo di riforme dall'alto, che ricorda di più le transizioni democratiche nell'America Latina degli anni Ottanta che le «rivoluzioni colorate» di tempi più recenti. Molti osservatori occidentali sono stati colti alla sprovvista. Solo un anno prima avevano liquidato il nuovo sistema costituzionale come una «farsa», scagliandosi contro l'idea che avrebbe potuto aprire la strada al cambiamento. Ai loro occhi i nuovi sviluppi sembravano spuntare dal nulla, ma ovviamente non era così.
Erano anni che si preparavano la costituzione e il parziale ritiro dell'esercito dal governo, e tutti sapevano che il generale Than Shwe voleva congedarsi, ma le dinamiche interne di Naypyitaw erano talmente enigmatiche che pochi avevano dato peso alla cosa e previsto il vuoto che si sarebbe creato. Al cambiamento hanno contribuito l'aumento degli sforzi diplomatici, la crescita, dopo il ciclone Nargis, della comunità umanitaria e delle organizzazioni non governative locali, e la volontà dei media birmani di mettere costantemente alla prova il limite della censura.
Sono entrati in gioco fattori nuovi, non ultima la primavera araba, che ha raccolto le idee di tutti e insegnato due lezioni. La prima è che le riforme devono essere reali. E la seconda è che devono essere portate avanti con i modi e i tempi giusti.
Anche il presidente Thein Sein è stato determinante. Ex comandante regionale,...