Michela Murgia
Francoforte - Marsiglia sola andata
Erano almeno vent'anni che non mi imbucavo a una festa in casa di sconosciuti, per di più senza nemmeno essere sicura di riuscire a farmi capire in qualche lingua. A differenza di quando ero più giovane, invece di intimidirmi e farmi sentire inadeguata, questa condizione mi esaltava come un appuntamento al buio ottenuto dopo mesi di solitudine. Ho accettato l'invito del Goethe-Institut a partecipare al progetto Ospiti a casa per andare in paesi d'altri, in case altrui, muovermi a tentoni in atmosfere insolite e affidarmi a sensi sociali di solito riservati a contesti familiari: l'intuito, la fiducia, la sfida. Mi piaceva l'idea delle case private, luoghi fortemente personali che mi avrebbero sottratto alla freddezza degli spazi istituzionali dove solitamente gli scrittori fanno gli incontri. Dopo tanti anni di letture pubbliche mi annoiano facilmente le liturgie dei ruoli predefiniti, perché prevedono una mistificazione già a monte: un microfono in mano trasforma una conversazione in un comizio, le persone che hai davanti diventano subito un pubblico e l'atto stesso della lettura pubblica li porta a presumere in te un'autorevolezza che certamente favorisce il loro ascolto, ma impedisce la reciprocità di uno scambio. Desideravo rompere questo codice formale ed entrare in contatto con persone di cui avrei saputo il nome, con le quali avrei mangiato e sul cui divano mi sarei seduta per scambiare parole che potevano sì riguardare anche i miei libri, ma francamente speravo di no.
Ho scelto io le località - il progetto intelligentemente permetteva di farlo - ma non ho puntato a caso il dito sulla cartina. Francoforte è entrata nel mio itinerario di viaggio perché, nonostante sia venuta ripetutamente in Germania per presentare le traduzioni dei miei libri negli anni scorsi, questa città non era mai stata una meta, ma solo un punto di transito dove prendevo le coincidenza dei treni. Paradossalmente era forse il posto della Germania da cui ero passata più spesso, ma senza averne alcun ricordo particolare: ho pensato fosse il momento di riscattarla da questo ingiusto anonimato. Marsiglia è stata invece una scelta di contraddizione: essendo una meta tradizionale degli italiani in Francia, sapevo dai loro racconti che era la città meno stereotipatamente francese che mi poteva capitare di vedere ed era proprio questo ad attrarmi. Volevo il vantaggio della lingua francese, che tra le europee è quella che parlo meglio, ma desideravo anche visitare un limen, un posto dove tutto il Mediterraneo si fosse dato appuntamento nei secoli, non sempre con intenzioni amichevoli, dando forma a una vera terra di confine. Ho scelto quindi due luoghi che per me rappresentavano in un certo senso delle anti-mete: il non-luogo Francoforte e il multi-luogo Marsiglia, che nella mia immaginazione stavano agli antipodi l'una rispetto all'altra. Il Goethe-Institut era il portale magico che mi avrebbe permesso di colmare la distanza tra questi due mondi passando dalla porta di quattro abitazioni private, nelle quali, contro tutte le previsioni, ogni esperienza di relazione è stata unica e neppure somigliante alle altre.
Francoforte si è rivelata ovviamente tutt'altro che un non-luogo, ma una città moderna che si è rialzata dalla distruzione della guerra dapprima intestandosi il titolo di capitale degli scambi bancari, poi indirizzando sempre più risorse verso la costruzione di un'identità culturale contemporanea, con decine di musei e una gradevole riqualificazione urbanistica. Durante una passeggiata solitaria ho assistito a una discussione appassionante su un tema che in Italia non sarebbe mai stato possibile affrontare: quali criteri architettonici adottare per la costruzione nei pressi della cattedrale, cioè nel cuore del centro storico medievale, di un edificio moderno. In Italia il principio di conservazione è così pacifico che chiunque pensasse di metterlo in discussione passerebbe per un distruttore del carattere autentico del patrimonio culturale del paese. I centri storici vengono restaurati da sempre ripristinando il loro aspetto medievale o rinascimentale e anche quando capita che il terremoto li devasti, rendendo imprescindibile il loro ripensamento, la sola idea di cambiarne l'aspetto con qualcosa di più attuale è così dolorosa che non di rado gli abitanti preferiscono andar via tutti e ricostruire altrove da capo. La Germania parte evidentemente da un bisogno diverso; se è infatti vero che la devastazione della guerra ha abbattuto molta della bellezza urbana precedente, è altrettanto vero che ha involontariamente creato anche una tabula rasa dove gli abitanti della città hanno dovuto decidere ex novo che storia del futuro scrivere con i mattoni: ri-erigere le vestigia passate o considerare quel terribile vuoto come una chance per darsi un volto nuovo, contemporaneo e senza strascichi? La soluzione trovata da Francoforte mi ha affascinato per la sua squisita natura compromissoria: accanto alla cattedrale è stato fatto sorgere infatti un edificio che ha un materiale di costruzione rossiccio identico ai mattoni antichi, che rispetta la forma a cuspide delle strutture tradizionali, ma che è visibilmente un palazzo moderno, con ogni tecnologia a disposizione e una discreta allure borghese. A volerlo considerare una metafora, quell'esercizio di pragmatismo urbanistico tra passato e futuro mi aveva dato già una mezza idea dello spirito della città che avevo scelto.
Quando sono entrata a casa di Gisela Bonz tuttavia non sapevo che cosa aspettarmi, tantomeno cosa i miei ospiti si attendessero da me. Il progetto Ospiti a casa ha infatti la particolarità di non avere un format: il suo format sono le persone stesse. Così il sorriso e il saluto in italiano che mi è stato subito rivolto sono stati il tacito segnale d'avvio per creare esattamente l'atmosfera che speravo: intorno a un buffet semplice abbiamo chiacchierato senza formalismi di molte cose, alternando la lingua italiana - parlata da alcuni invitati e dalla padrona di casa - a quella tedesca, nella quale gentilmente alcuni di loro mi traducevano. I discorsi hanno cominciato a ruotare spontaneamente tutti intorno ad argomenti di attualità sociale: eravamo a ridosso del referendum anglosassone che avrebbe poi deciso della Brexit e a catalizzare l'attenzione di tutti è stata immediatamente la politica, anche perché gli ospiti presenti, per quanto pochi, erano quasi tutti di nazionalità diversa e rappresentavano a loro modo una sintesi tangibile dell'impraticabilità dell'idea di porre di nuovo confini all'interno dell'Europa. L'età rendeva il ragionamento ancora più complesso, perché alcuni di loro appartenevano alla generazione dei miei genitori e l'unità europea l'avevano vista sorgere anche attraverso passaggi dolorosi, a partire dalle ceneri della seconda guerra mondiale. La prospettiva dell'uscita della Gran Bretagna dall'Unione apriva così tanti scenari che ci siamo ritrovati a chiederci come si fosse arrivati in una sola generazione a riconsiderare un passo indietro di questa portata. Dagli anni '70 delle ideologie difese anche con le armi, passando per gli '80 edonisti e frivoli che in Italia avevano implicato un cambiamento sociale e antropologico di cui avremmo capito solo dopo vent'anni la reale portata, doveva essere accaduto qualcosa che aveva logorato l'idea della comunità europea al punto che in ogni stato dell'Unione c'erano persone disposte a riconsiderarla. Quel piccolo soggiorno pieno di persone che non si erano mai viste prima è stato per due ore un eccezionale cenacolo politico e mi ha fatto sentire la mancanza di luoghi dove quella straordinarietà occasionale potesse invece essere vissuta come una normalità consueta. Internet può fare molte cose per la mia generazione e per quelle che verranno, ma non può fare ciò che è avvenuto in quella casa, dove le ragioni di un'Europa unita sono state per la durata di una sera tangibili, ponderate e alla portata di chiunque.
La seconda e ultima sera francofortina avrebbe potuto facilmente rivelarsi una replica stanca della prima, ma è andata in tutt'altro modo. La padrona di casa, Claudia Turolla, era un'italiana trapiantata a Francoforte per lavoro e come lei una buona parte dei convitati, quasi tutti expat legati all'università con indirizzo umanistico, salvo qualche tedesco. Non c'è stato alcun bisogno di chiedere agli espatriati il motivo del trasferimento: l'Italia rispetto agli altri paesi europei investe cifre molto basse nell'alta formazione, specie nelle specializzazioni letterarie, e non è per nulla raro che i laureati in quell'ambito si spostino verso altri dipartimenti di italianistica dell'Unione. Nel solo 2015 il numero dei giovani italiani emigrati alla ricerca di una prospettiva migliore ha superato per la prima volta quello dei migranti economici stranieri provenienti dai paesi più poveri. La Germania, per la lungimiranza dei suoi investimenti culturali e per il fascino di una lingua che ancora conserva l'ultima traccia europea dei casi del latino, è una meta naturale per chi si occupa di linguistica. In un piccolo giardino con un orto e una tavola imbandita ci siamo quindi trovati a ragionare della speranza che muove le persone a lasciare il proprio paese in cerca di altre appartenenze. Probabilmente sarebbe stata una serata simile a quelle che si fanno a decine tra gli espatriati che si riuniscono intorno allo stesso percorso di studio o di lavoro. Poi però ho provato a proporre un piccolo gioco di condivisione canora. Vengo da una cultura che ha il canto comune in alta...