Da passatempo reale a sport popolare
È l'unico tennista al mondo a non essere mai stato sconfitto.
«Non battete il re» si sentiva dire chi stava per affrontarlo.
Percy Rosberg
Il primo tennista svedese si chiamava Gustav ed era il principe ereditario. Nell'estate del 1879, a ventun anni, aveva trascorso quattro mesi in Inghilterra, l'ultima tappa del suo grand tour, il viaggio di formazione che i giovani rampolli della nobiltà intraprendevano anche con lo scopo di trovare una consorte presso una corte straniera. La successione al trono andava garantita. Gustav era partito l'anno precedente e aveva già visitato la corte danese, Costantinopoli, Roma e Parigi, senza però riuscire nell'impresa.
In Inghilterra gli venne presentata la principessa Beatrice: per la casata reale svedese un matrimonio del genere sarebbe stato vantaggioso e auspicabile, ma non se ne fece nulla. Gustav non era interessato, perché era invece stato catturato da qualcos'altro, un nuovo gioco. Aveva visto giovanotti vestiti di bianco muoversi con eleganza su campi rettangolari di erba ben curata: in mano avevano una racchetta e giocavano a uno sport che si chiamava lawn tennis. Gustav ne fu più che catturato: se ne innamorò perdutamente.
Una volta tornato a casa lo insegnò ai suoi amici, e nell'alta società il tennis divenne un gioco molto apprezzato. Gustav fece realizzare i primi due campi da tennis del Paese, uno in erba presso il castello di Tullgarn e uno semplice, in terra, a Skeppsholmen, frequentato da molti ufficiali della marina.
Uomini adulti che correvano dietro a una pallina. chi passava da quelle parti pensava si trattasse di una cosa alquanto ridicola, ma il principe ereditario fece tradurre in svedese le regole della disciplina che divenne sempre più popolare. Gustav apparteneva alla schiera crescente di persone secondo le quali il tennis era quanto di meglio la vita avesse da offrire, e che promossero la costruzione dell'impianto coperto di Djurgården, una struttura moderna ed esclusiva con docce e acqua calda. Gustav partecipava alle competizioni con lo pseudonimo di "Mr G" e fondò un proprio club, il Kronprinsens Lawn Tennis Klubb (Tennis club del principe ereditario) che, una volta diventato re, fece ribattezzare Kungliga Lawn Tennisklubben (Tennis club reale).
Appena salito al trono con il nome di Gustavo V, il nuovo re vide diminuire il proprio potere politico. La democrazia parlamentare stava per debuttare sulla scena e, con la fine della Prima guerra mondiale, il periodo di gloria delle casate reali europee si avvicinava al tramonto. Il tennis avrebbe potuto seguire lo stesso destino, finendo nel dimenticatoio alla stregua di altri tranquilli passatempi da gentiluomini come il polo o la caccia alla volpe, e diventando un'espressione culturale fuori moda. In Svezia, molti segnali facevano presagire un finale di quel tipo: le foto sui giornali del 1920, che erano sotto gli occhi di tutti, mostravano un monarca triste, che arrancava faticosamente tra le ceneri e le macerie dell'impianto di Djurgården andato a fuoco.
Ma gli eventi nel mondo presero un'altra piega. La francese di origini popolari Suzanne Lenglen vinse Wimbledon nel 1919, portando il tennis nell'epoca del jazz e della generazione perduta. Imprecava, beveva, fumava e aveva una schiera di amanti che la scortavano agli incontri. A quel tempo le suffragette inglesi si battevano con successo per la parità fra uomini e donne, ma nel suo ambito la Lenglen riuscì a fare anche di più: il tennis divenne uno sport in cui il nome di punta era quello di una donna. In migliaia facevano la fila per vederla giocare e a Wimbledon venne costruita una nuova arena. Sul campo la francese si muoveva con la grazia di una ballerina, ignorando i dettami della moda che, fino a quel momento, avevano imposto alle donne di giocare indossando il corsetto. Gli abiti corti e leggeri divennero il suo marchio di fabbrica e un must per le donne in quasi tutto il mondo. Hemingway scrisse di lei in Fiesta (Il sole sorgerà ancora).
La Lenglen era ossessionata dal successo e rimase pressoché imbattuta tra il 1919 e il 1926 riuscendo, più di chiunque altro, a trasformare il tennis in uno sport popolare e competitivo. Allo stesso tempo, la sua precisione sul campo trasformò quella disciplina in un'arte. Suzanne Lenglen divenne una delle sportive più note al mondo in un ventennio in cui l'equilibrio di potere tra le celebrità stava cambiando: le famiglie reali venivano relegate nell'ombra da artisti, uomini di cultura e personalità dello sport. Sulla scia della Lenglen riuscirono a emergere anche i nomi nuovi del tennis maschile, come l'attore e drammaturgo omosessuale Bill Tilden, che trasformò il tennis in una disciplina di potenza fisica e ogni match in uno spettacolo, o i moschettieri del tennis francese Henri Cochet, René Lacoste, Jean Borotra e Jacques Brugnon.
Il conservatore Gustavo V seguiva gli sviluppi del tennis internazionale con grande interesse. In Svezia questo sport era ancora un passatempo d'élite cui l'alta società si dedicava per crogiolarsi di prestigio riflesso. In Coppa Davis, la squadra nazionale svedese era rappresentata dai banchieri Marcus Wallenberg e Sune Malmström, che annotavano ordinatamente in colonna le proprie famigerate sconfitte.
Gustavo V voleva incontrare la Lenglen e giocare a tennis con lei. Riuscì nell'impresa e, inoltre, diventò molto amico dei suoi connazionali, i quattro grandi moschettieri del tennis.
Nel gennaio del 1926 il re svedese fu raggiunto dalla notizia che la nuova stella del tennis americano Helen Wills era sbarcata da un transatlantico a Le Havre. Pensava forse di sfidare Suzanne Lenglen, "La Divine"? La francese aveva compiuto 26 anni e inanellato una serie di vittorie a Wimbledon e a Parigi, ma non si era mai preoccupata di andare a giocare negli Stati Uniti, né tantomeno di difendere il suo titolo olimpico nel 1924. L'oro era andato all'appena diciottenne Wills che, in seguito, aveva vinto gli Us Open per quattro volte. Tutti si aspettavano un match tra la regina del tennis in carica e la giovane americana.
Grazie a Suzanne Lenglen, i francesi avevano recuperato molto del proprio orgoglio ferito in seguito agli eventi della Prima guerra mondiale e vedevano quella partita come un duello globale carico di significati culturali più ampi. Gli americani, scriveva il quotidiano «Paris-Midi», erano «marci e degenerati, fisicamente, intellettualmente e moralmente. Offendono le nostre orecchie, i nostri occhi e le nostre narici».
Ma quando dodici giornalisti incontrarono Helen Wills, quelle voci furono ridotte al silenzio. L'americana li lasciò a bocca aperta e prima di salire sul treno che l'avrebbe portata in Costa Azzurra disse che la ragione principale del suo soggiorno in Francia non era il tennis, ma la pittura. Avrebbe però giocato, e non era difficile indovinare contro chi.
Il «Time» pubblicò un diario del viaggio della Wills in Francia, senza intervistarla: ogni giorno che la portava più vicina a Cannes i giornalisti erano sempre più sicuri di sapere a cosa pensasse mentre sedeva in carrozza.
Quando Gustavo V scoprì che la Lenglen e la Wills erano iscritte allo stesso torneo e che con ogni probabilità si sarebbero affrontate nella finale del 16 febbraio, si fece preparare i bagagli, rispolverò l'identità di "Mr G" e prese il treno per la Costa Azzurra.
L'incontro si sarebbe giocato su un campo in terra battuta rosa e veniva dipinto come una resa dei conti tra l'eleganza francese e la semplicità americana. Charlie Chaplin disse che vedere Helen Wills su un campo da tennis era la cosa più bella che un occhio umano potesse ammirare, condita da «un salutare sex appeal». Suzanne invece non era certo una bellezza classica, con i denti storti e il naso aquilino, ma la sua carica erotica veniva descritta come magnetica. Aveva occhi irresistibili.
«Siamo qui per la grana. È esclusivamente una questione di soldi», disse Bernie Hicks, l'organizzatore americano che aveva venduto i diritti di trasmissione del match per centomila dollari e ne aveva intascati altri quattromila da un produttore di palline per la fornitura esclusiva per l'incontro. Tuttavia, sia la Wills sia la Lenglen chiesero e ottennero che chiunque volesse filmare o trasmettere la partita potesse farlo liberamente. Molti ebbero modo di guadagnarci lo stesso, come la donna inglese che trovò un fascio di biglietti d'ingresso da cinquanta franchi che rivendette per mille franchi l'uno.
"Mr G" riuscì a incontrare sia Helen sia Suzanne. L'americana mangiò un consommé, filet mignon, fagiolini verdi, patate lesse e torta con gelato prima di ritirarsi in stanza.
Nella sua biografia raccontò di aver dormito come un sasso, nonostante l'orchestra che sulla terrazza al piano inferiore suonava a ripetizione Valencia, la canzone del momento.
La partita era programmata verso l'ora di pranzo, ma i settemila spettatori iniziarono a riempire gli spalti già dalle prime ore del mattino. Quelli senza biglietto salivano sugli alberi, sulla recinzione e sul tetto. I giornalisti erano stretti uno accanto all'altro, con grandi macchine per scrivere sulle ginocchia. Il romanziere spagnolo Vicente Blasco Ibáñez aveva ricevuto quarantamila franchi da un giornale sudamericano per un reportage sull'evento; non aveva mai visto una partita di tennis prima di allora, ma rassicurò il direttore: «Mi intendo di psicologia».
La Lenglen arrivò in pelliccia, la...