Schweitzer Fachinformationen
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Nel 1994 mi trasferii in Cina con una borsa di studio per frequentare l'università del Sichuan. Ufficialmente ero a Chengdu per motivi accademici, ma sin da quando ero piccola il cibo e la cucina mi interessavano più di ogni altra cosa, così misi presto da parte le lezioni e mi tuffai nello studio del tutto amatoriale della cucina del posto. Terminato l'anno di università, restai a Chengdu, dove mi proposero di iscrivermi all'Istituto superiore di cucina del Sichuan. Accettai immediatamente.
È buffo quanto le piccole decisioni prese d'impulso possano condizionare la nostra vita e il nostro destino. All'inizio la scelta di formarmi come chef in Cina era stata dettata semplicemente dall'amore per la cucina del Paese e dal desiderio di vivere per un po' in una città che mi aveva letteralmente conquistato. Dopodiché l'esplorazione del cibo del Sichuan - e della cucina cinese in generale - è diventata un'ossessione e, a differenza delle premesse iniziali, anche un lavoro.
Da quei primi giorni a Chengdu, ho percorso la Cina in lungo e in largo; ho visitato cucine, fattorie e musei, ho letto moltissimo, e ho parlato di cibo e cucina con un'infinità di cinesi, esperti e dilettanti. Esperienza ugualmente importante, ho assaggiato ingredienti e piatti straordinari, più di quanti avrei mai immaginato fosse possibile. È stata questa la mia vera formazione: assaggiare, assaggiare e assaggiare di nuovo, gustare i sapori delle diverse regioni, sperimentare le infinite variazioni della cucina cinese, verificare cosa significano nella pratica - in bocca e sulla lingua - le teorie, le descrizioni, le leggende e le ricette. Un esperto di arti marziali o un musicista imparano attraverso l'esercizio; per chi mangia per professione è lo stesso. Si dice che servano tre generazioni per diventare un gastronomo cinese. Io finora ho avuto una vita soltanto - sono una neofita arrivata in Cina a poco più di vent'anni -, ma in questi tre decenni ho avuto il privilegio di accumulare un'educazione gastronomica che nessuno potrebbe sperare di ottenere in diverse vite. Per questo privilegio devo ringraziare la generosità dei miei amici e dei miei insegnanti cinesi, oltre alle tante persone che ho incrociato più o meno per caso in tutto il Paese e che con pazienza mi hanno nutrito, parlato, e infine hanno trasformato il mio palato barbaro.
Certo, quando mi sono trasferita, non ero completamente priva di nozioni sulla cucina cinese. Anzi, era stata una parte piccola ma indimenticabile della mia infanzia. Come molti occidentali delle ultime due o tre generazioni, in un certo senso ero cresciuta mangiando cinese.
Apriamo il frusciante sacchetto di carta marrone e rovesciamo le sfere dorate, roventi e di una fragranza invitante; la pastella croccante avvolge le polpette di maiale tenerissimo. Insieme alle polpette c'è un minuscolo contenitore di polistirolo pieno di un liquido rosso brillante: la salsa agrodolce. Io e mia sorella non stiamo nella pelle. Il cinese da asporto è un piacere sporadico, una gradita variazione rispetto ai soliti piatti che prepara in casa nostra madre e l'occasione per pasticciare un po' con le bacchette. I contenitori di alluminio impilati l'uno sopra l'altro emanano un profumo di zenzero e salsa di soia. Una serie di piatti: chop suey di gamberi, pollo con germogli di bambù in scatola, chow mein con carne e germogli di soia, ravioli gommosi ripieni anche loro di germogli di soia, riso saltato con uovo. È tutto buonissimo, ma le nostre preferite sono le polpette di maiale in agrodolce. Non smetteremmo mai di mangiarne.
Io e mia sorella non siamo certo le uniche bambine cresciute nell'Inghilterra degli anni Settanta a essere state introdotte al cibo cinese attraverso le polpette di maiale in agrodolce, che allora erano nel menu di tutti i ristoranti cinesi. C'era un takeaway cinese in ogni città. Erano proliferati nell'immediato dopoguerra, quando una nuova ondata di immigrati di Hong Kong aveva rilevato - prima a Liverpool, poi a Manchester e altrove - i ristoranti di fish and chips, aggiungendo gradualmente piatti cinesi ai menu originali.1 Nel 1951, nel Regno Unito, i proprietari e direttori cinesi di ristoranti erano solo trentasei;2 all'inizio degli anni Settanta, c'erano grossomodo dodicimila takeaway e tremila ristoranti.3
Nessuno sa bene quali siano le origini dei takeaway: secondo alcuni, nacquero quando i clienti che non riuscivano a prenotare un tavolo al celebre Lotus House di Bayswater, a Londra, cominciarono a chiedere di portare il cibo a casa; secondo altri, furono inventati al Local Friends, il locale di Charlie Cheung a Limehouse, la prima Chinatown di Londra.4 Ma quando i primi hongkonghesi, in maggioranza uomini, furono raggiunti da mogli e figli in base alle nuove norme del Commonwealth Immigrants Act del 1962, i ristoranti cinesi diventarono imprese familiari, e i takeaway proliferarono in tutto il Paese.5 I piatti erano un crogiolo di ricette rielaborate della cucina cinese, proprio come il chop suey, il cui nome deriva da tsap sui, termine cantonese che indica un «miscuglio di ingredienti tagliati fini», e il chow mein (spaghetti fritti con germogli di soia).
Gli ingredienti erano banali: un'alternanza di classiche proteine disossate (maiale, pollo, gamberi e manzo) accompagnate da verdure cinesi in scatola, come germogli di bambù, funghi di paglia e castagne d'acqua, con l'aggiunta di germogli di soia, cipolle e peperoni freschi, il tutto condito con alcune salse standard (chop suey, agrodolce, pomodoro o curry) oppure saltate con spaghetti o riso. Nonostante le offerte piuttosto blande, gli avventori più diffidenti potevano sempre scegliere piatti inglesi come omelette, patatine fritte con salsa al curry o pollo arrosto. I cinesi erano i primi a riconoscere che il cibo del takeaway di cinese non aveva nulla. Per citare la famiglia Chen, protagonista di Agrodolce, il romanzo di Timothy Mo ambientato in un takeaway di Londra negli anni Sessanta, i piatti preparati per i clienti non cinesi erano «spazzatura, una vera porcheria, buona solo per i diavoli stranieri».
Fatto sta che i «diavoli stranieri» quella roba la adoravano. Dopo i razionamenti e i cibi insipidi degli anni di guerra, la cucina cinese penetrò nel Regno Unito come una brezza esotica. Non era solo di un'eccitante diversità rispetto al purè di patate e al toad-in-the-hole,6 ma era anche a buon mercato. Mia madre ricorda qualche raro pranzo cinese a Londra a metà anni Sessanta in cui fece i suoi primi esitanti tentativi con le bacchette. Il menu era fisso: una zuppa addensata con amido in cui galleggiavano pezzetti di carne e germogli di soia; una portata principale come chop suey con riso; un dessert a base di litchi sciroppati in barattolo. Era un pasto incredibilmente economico: cinque scellini, quanto un sandwich.
Nei decenni successivi, la cucina cinese diventò un'apprezzatissima componente della vita britannica. Dopo il 1949, l'anno in cui i comunisti del presidente Mao sconfissero il regime nazionalista e misero fine alla guerra civile, i diplomatici nazionalisti bloccati a Londra divennero i principali sostenitori della cucina cinese: uno di loro, Kenneth Lo, pubblicò il suo primo libro di cucina nel 1955 (ne avrebbe scritti altri trenta); a Londra, inoltre, aprì il pregiato ristorante Memories of China. All'inizio degli anni Ottanta la bbc commissionò un pionieristico cooking show presentato dallo chef sinoamericano Ken Hom, che introdusse il pubblico britannico ai sapori e alle tecniche della cucina cinese; i libri che accompagnarono il programma vendettero oltre un milione e mezzo di copie.7 Nel 2001, in base a un'analisi di «Market Intelligence», il cibo cinese era il preferito dei britannici, e il 65% delle famiglie possedeva un wok.8
In Nordamerica il cibo cinese seguì una traiettoria simile - dall'oscurità all'onnipresenza - ma con una sequenza temporale anticipata. Con la febbre dell'oro nella valle del Sacramento, a partire dal 1848, decine di migliaia di migranti dalla Cina meridionale approdarono in California e gettarono le basi della Chinatown di San Francisco. Cominciarono a spuntare i primi ristoranti cinesi, molti dei quali offrivano pasti all-you-can-eat a un dollaro, un mix di piatti cinesi e occidentali preparati con una varietà di carne e verdure per cui i minatori bianchi e gli operai andavano pazzi (probabilmente c'erano anche i primi chop suey sinoamericani). Questo fu solo l'inizio di una moda che si sarebbe diffusa da una costa all'altra del Paese.
Nel...
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