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«Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati» (Mt 5, 4)
Fabio Rosini
A riguardo della Beatitudine in questione la traduzione della Cei del 2008 la propone così: «Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati».
La vecchia traduzione del 1974 era invece: «Beati gli afflitti, perché saranno consolati».
La nuova traduzione è più precisa e pone in attivo quel che era reso con il passivo nella traduzione classica, e possiamo apprezzare che la condizione di dolore e afflizione non è una condizione subita, ma, con un verbo stativo, per l'appunto una condizione.
Rifacciamo il punto di come sono fatte queste Beatitudini, ossia di quale sia la loro struttura.
Va ricordato che Gandhi, ascoltando il testo delle Beatitudini, fu fulgorato: lui che era un hindu, scelse la via della non violenza sulla base di questo testo. Fu cambiato profondamente dall'ascolto di questo testo. Questo è l'inizio del Sermone della Montagna, il più lungo discorso di Gesù nei Vangeli.
Prende il capitolo 5, 6 e 7 del Vangelo di Matteo. Sale sul monte, si mette seduto e parla. E questa cosa riporta all'attitudine di Mosè, che si sedeva e insegnava la Legge.
Il nuovo Mosè, secondo il Vangelo di Matteo, Gesù, dà una nuova legge. Questa prospettiva, che viene ordinariamente proposta, non è del tutto esatta. Gesù, in questo meraviglioso discorso non sta promulgando una norma, ma annuncia il Regno di Dio, che Lui sta inaugurando.
La vita secondo il Regno di Dio ha delle caratteristiche. E comincia con il testo paradossale delle Beatitudini. Va detto che tutto ciò che è cristiano tende al paradossale.
Fare del cristianesimo una norma, una cosa razionale, ovvia, intessuta del buonsenso matematico di una legge, è profanare il cristianesimo. Il cristianesimo non è una banalità pedestre, come "la speranza è l'ultima a morire" o "aiutati che Dio t'aiuta" e insulsaggini simili. È molto altro.
Al contrario, è l'irruzione di Dio nella vita umana. E quando entra Dio nella vita di una persona, tutto si rovescia, tutto prende un'altra prospettiva.
È bene focalizzare la struttura paradossale delle Beatitudini. «Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei Cieli, beati gli afflitti perché saranno consolati, beati i miti perché erediteranno la terra» e via dicendo, «beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati». In realtà, queste sono condizioni, cioè i poveri, gli afflitti, i miti (ossia quelli che non corrispondono alla violenza e quindi perdono le guerre). Oggi pare che se non sei uno che si fa valere che campi a fare? La vita non ha senso se non sei un vincente. Tocca venire a sapere di corsi ecclesiali per ragazzi finalizzati a diventare dei vincenti. Ma a quel punto dove sta la croce?
La croce. Vi sembra che il Crocifisso possa fare il testimonial di un percorso per vincenti? Forse è un testimonial per un percorso per gente che deve imparare a perdere, deve imparare a soffrire, a perdonare, a essere misericordiosa, come diranno appunto le Beatitudini più avanti.
Quel che normalmente resta nell'immaginario dell'ascoltatore medio, cattolico, di queste Beatitudini, anche per la predicazione banale che emettiamo noi preti, è che i poveri in spirito sono beati perché sono poveri.
Gli afflitti sono beati perché soffrono. Ma che beatitudine è? Sono afflitto, nel dolore, nel pianto... non sono beato! Ecco, dobbiamo esaminare la struttura tripartita di ogni Beatitudine.
Le Beatitudini sono una formulazione sapienziale. "Beati", che è makarios in greco, una parola molto interessante perché, secondo alcuni, verrebbe dalla parola charis, che vuol dire grazia. Per P. Chantraine (Dictionnaire Étymologique Langue Grecque: Histoire Des Mots) viene da kairos, che vuol dire "momento, istante opportuno, opportunità". E allora il significato sarebbe: «Saggi, sapienti, quelli che sanno campare, che sono nel ritmo, colgono l'occasione». Il segreto della vita, come dice il Salmo primo, è dare frutto al proprio tempo, cioè la vita ha un ritmo. Quando ero musicista e suonavo in un quartetto, il problema non era solo fare bene la mia parte, ma farla al momento giusto: se sbagli, ma al momento giusto, curiosamente, il quartetto va avanti e continua a suonare; se invece fai giusto, ma al momento sbagliato, tutto salta e l'esecuzione si ferma; la vita è una questione di ritmi. Tu stai nella vita, devi entrare al momento tuo, parlare, stare zitto, fare una cosa, non farla, è il momento di parlare con tuo figlio, di stare zitto, è il momento di chiedere scusa a tua moglie, oppure di aspettare, è il momento di comprare una cosa, o è il momento di tenerti i soldi in tasca, è il momento di intraprendere, o è il momento di attendere. Tutta la vita è saper rispondere, la vita ti fa tante domande, ti domanda delle cose, tu devi saper rispondere, se dai la risposta sbagliata, tu puoi anche essere una persona meravigliosa, però vivi male, sei infelice.
I beati sono quelli che sanno vivere, cioè sanno stare nel ritmo, nel Kairos della vita, perché la vita è come una danza: parte la disco music degli anni Ottanta, ma entri per fare un walzer mentre sotto ci sono i Duran Duran e tu vuoi andare al passo del walzer; oppure c'è un walzer e tu parti a disco music, c'è una rumba e tu vuoi fare un cha cha cha... Sai ballare al tempo della vita?
Io, per esempio, sono nella fase post malattia, sono debole, l'anno scorso ero debole, quest'anno lo sono molto di più perché mi hanno tolto tutta una parte dell'intestino, per cui ho un sacco di problemi. Sono una bomba a orologeria, non so qual è la prossima malattia che mi arriva, e convivo con la debolezza. E adesso che devo fare con questa debolezza? come la devo vivere, come la posso vivere, come posso tirare fuori il meglio della vita da questo stato di fragilità, per cui mi è difficile fare tutto? È sempre un enigma se avrò la forza per fare le cose.
Il punto è che vivere vuol dire stare nel ritmo, stare dentro le cose, stare nella propria parte, dare frutto al proprio tempo, sbocciare con il frutto che mi riguarda, che anche gli altri si aspettano da me. Un figlio ha diritto di trovare saggezza in un padre, di trovare tenerezza nella madre, certo, sì, c'è diritto, è giusto che se lo aspetti. Allora tu devi sapere dare quella tenerezza, quell'amore alla vita, quella forza, quel coraggio.
Allora, saggi, sapienti, gente che sa fare la cosa giusta al momento giusto: è chi è questa gente straordinaria? Sono i poveri in spirito, per esempio. E perché? Perché sono poveri in spirito? No, ma «Perché di essi è il Regno dei Cieli», cioè: la prima parte è la proclamazione della felicità e della saggezza, la seconda parte è la condizione, la terza parte è il motivo della beatitudine. La beatitudine non è radicata nella condizione, ma questa condizione, per l'appunto, è un'opportunità. Se vuoi avere il Regno dei Cieli, devi far leva sulla tua povertà in spirito, se vuoi conoscere la consolazione di Dio, devi far leva sul tuo pianto, sul tuo dolore.
Il dolore in sé non è una cosa per cui sei beato, infatti sei nel pianto: al contrario, sei beato per la strada dell'essere afflitto, perché conoscerai la consolazione. Perché "sarai consolato", con un passivo teologico: cioè, non c'è il soggetto dell'azione perché è sotteso che è Dio. Gli ebrei, quando parlano, cercano quanto più possibile di evitare di nominare il nome di Dio, perché, appunto, «non nominare il nome di Dio invano», per cui si risparmiano le citazioni, lasciano molto spesso le azioni al passivo, perché l'attore non sia detto, ma è sottointeso che è Dio. Infatti è Dio il consolatore.
La consolazione in greco si dice paraclesis: Paraclito è lo Spirito Santo, il consolatore. Che cosa vuol dire, che cos'è una consolazione e che cos'è una paraclesis? Vediamo di capire qual è la condizione di cui parliamo, ricordando che se spesso Dio consola gli afflitti, altrettanto spesso affligge i consolati. Perché? Perché devono iniziare a camminare. Perché? Perché tante volte nella vita la saggezza parte da un evento di destabilizzazione, se non c'è la rottura di un'omeostasi esistenziale, cioè la perdita di un assetto, non ci si muove dal proprio stato esistenziale. Il corpo e la mente tendono alla comodità: uno tende a trovare un posto comodo, un ragionamento, anche triste, però stai lì, stai comodo lì, perché sei abituato, certe volte hai un problema ma non lo vuoi affrontare, perché? Perché ti sei abituato a convivere con quel dolore, con quel problema, e pensi che tanto è meglio così. E allora Dio magari ti deve destabilizzare.
Dice un salmo: bene per me se sono stato umiliato, prima di essere umiliato andavo errando, ma ora osservo la tua parola. Che è proprio il fatto che a un dato momento la vita ti tira un pugno per metterti in movimento e crescere. Io se non avessi avuto a 17 anni un momento di amarezza infinita, di disgusto dell'esistenza fino a pensare di togliermi la vita, non avrei vissuto il viaggio che Dio mi ha permesso di vivere.
Io inizio i miei incontri con i ragazzi raccontando il fatto che a 17 anni mi sembrava che la vita non avesse alcun senso e che non servisse a niente campare, che era meglio liberarsi della vita, allora mi ricordavo dove stava la pistola d'ordinanza di mio padre, che era stato militare e l'aveva nascosta da una parte, mio fratello aveva...