II.
Indice Vendette - Guerre - Armi - Coraggio passivo e fierezza - Ostinazione degli Arabi - Il suicidio - Le montagne dei Dénka - Il Tarciàm.
I Baggàra, come tutti gli Arabi e i popoli barbari, non hanno tribunali per deliberare intorno alle pene dovute ai delinquenti; non hanno polizia per invigilare, prevedere ed evitare i delitti; non hanno prigioni per tenervi chiusi i rei o gli accusati e per far loro scontare la pena ch'essi han meritata; e quindi s'attengono alla legge del taglione, che è la legge della Bibbia, di Menu e del Corano. Occhio per occhio (aèn be aèn), orecchio per orecchio (uèden be uèden), sangue per sangue (ed-dàm b'ed-dàm); l'uccisore deve morire quand'egli non acqueti i parenti della sua vittima, cedendo loro una parte delle proprie sostanze.
All'insulto fatto ad un Arabo Baggàra o ad un suo ospite deve rispondere sovente un'intera famiglia, o tutta la tribù dell'offensore.
Il più leggiero pretesto dà origine tante volte a lotte le più lunghe e le più sanguinose fra tribù e tribù.
Io so di una carovana la quale recandosi dal Kordofàn al Dar-Fùr venne di notte tempo assalita, a poca distanza dalle frontiere, dagli arabi Baggàra i quali uccisero quindici uomini, senza darsi alcun pensiero di trafugarne le mercanzie.
Un Arabo, che conosceva appieno e raccontava minutamente le circostanze di questo incidente, asseriva che i Baggàra avevano compiuto così un atto di giustizia, una vendetta, tarda sì.... ma legittima.
Otto anni prima, alcuni mercanti, giallàba, che battevano questa medesima via, s'erano incontrati in pochi Baggàra, la cui marcia era sembrata loro sospetta, e ne uccisero due, mettendo gli altri in fuga. Ma da questo momento i Baggàra vendicati lasciaron libera la strada, che potè essere poi percorsa dalle carovane senza alcun timore.
Il beduino Sciànfara, come dice la tradizione, pretendeva il taglione per la morte violenta di suo padre. Egli aveva ucciso in diverse imboscate novant'otto de' suoi nemici. Finalmente, sorpreso da alcuni all'orlo di un pozzo, non seppe trovar modo allo scampo e dovette egli stesso perire, ma dopo d'averne ammazzato uno ancora con un colpo di pugno nel petto. Egli però aveva giurata la morte a cento, e il suo voto.... verrà esaudito. Il cadavere dell'Eroe fu sospeso ad un albero e non tardò a decomporsi; le sue ossa si disarticolarono; e un pastore della tribù nemica, passando per caso sotto quell'albero, premette col piede sulla punta di un osso e restò ferito. Nello stesso giorno gli si contrassero spasmodicamente i muscoli e dovette soccombere. Così il voto di Sciànfara, secondo la favola, ebbe il suo compimento.
Una delle cause, e forse la più attiva, delle lotte che di quando in quando intraprendono le tribù del deserto, è la sete ardente che tutti i popoli nomadi hanno del bottino. Guerra e bottino suonano presso loro la stessa cosa; essere vincitore vuol dire spartirsi la preda; vedere un Arabo tornare dal campo di battaglia coronato di gloria, è vederlo ricco di montoni e di cammelli tolti al nemico. Insomma l'eroismo degli Arabi è l'eroismo de' Cosacchi. Essi combattono a cavallo armati di lancia e di sciabola, sparpagliati, stuzzicando il nemico di fronte e dai lati, e tenendolo inquieto continuamente; uccidono il cavaliere per avere la sua giumenta; salvano sè stessi per assicurare la propria.
Havvi in ciascuna tribù una quantità di giovani poveri, i quali ambiscono di far mostra del loro coraggio e di procacciarsi in tal maniera la dote che essi debbono, volendo sposarsi, offerire al padre della fidanzata, dote che generalmente consiste in un certo numero di capre, di pecore, di cammelle o d'altro.
Per questi giovani la guerra è una buona fortuna; la loro suscettibilità quindi per il punto d'onore non conosce confini; il più leggiero pretesto dà origine spesso a lotte le più tremende. Raro è il caso che una tribù viva in pace per più di due anni senza che succeda alcuna infrazione delle leggi del deserto. I vecchi allora ne gioiscono, mentre s'incamminano senza inquietudine verso la tomba. Ma la gioventù?... La gioventù s'agita, si lamenta, si dispera per tanta disgrazia; finchè sorge qualcuno fra i principali personaggi della tribù, rinomato per bravura ed esperienza delle cose di guerra, il quale approfittando della speciale condizione in cui trovansi gli spiriti irrequieti della gioventù, la chiama a sè e le dichiara ch'egli è pronto a guidarla ovunque per derubare i vicini de' loro bestiami, per saccheggiare le carovane, per la tratta dei Negri.
Il Capo, in due o tre giorni, s'è formata una truppa di circa un migliaio d'uomini, e la campagna incomincia.
Da questo momento esploratori sono inviati qua e là per investigare di nascosto ogni cosa; e il Capo sa minutamente quanto succede di giorno in giorno, di ora in ora, nel deserto e presso le tribù vicine. - Viene egli a conoscere che gli uomini forti di una tribù sono partiti per la guerra o per la caccia? - Egli si mette in marcia, sorprende le loro mandre guardate da piccoli fanciulli, le rapisce e dispare in un istante. - È stata veduta una carovana nel deserto? - Egli dispone subito la sua gente a gruppi, e tutti se ne vanno silenziosi verso la carovana tenendo gli occhi sempre all'erta; e questi la precedono, quelli la fiancheggiano, altri la seguono a poca distanza, protetti dalle colline di sabbia che nascondono alla stessa il segreto dei loro passi. Il Capo frattanto e tutti i suoi bravi la spiano cautamente, contano le sue armi, ne studiano l'accampamento, osservano la maniera di allestire i cammelli; l'aspettano al varco, e allora, la sera o il mattino, quando mercanti, servi e cammellieri sono occupati a scaricare o a caricare le tende, le casse, il mobilio, la cucina, i viveri, le mercanzie, o nel momento che si prendono un po' di riposo, un po' di cibo, o appena desti dal sonno, gli Arabi, ad un cenno del loro Capo, si slanciano contro di loro, uccidono quanti si oppongono all'improvviso loro assalto e tutto portano via, non lasciando colà che un campo di morti.
Qualche anno prima del mio arrivo nel Sudàn, una grossa carovana, composta di 120 uomini e 200 cammelli, cadde vittima d'una insidiosa aggressione degli arabi Benì-Geràr. Un solo uomo, di nome Abd-El-Kàder, ebbe la sorte d'aver salva la vita e di poter dare esatti ragguagli del crudele e pietoso avvenimento.
La carovana, partita da Dòngola, era diretta a El-Obèid nel Kordofàn, ove trasportava merci provenienti dall'Europa e dall'Egitto, e datteri di Nubia. Essa si trovava vicina al pozzo Bir-Uày, ove si sarebbe accampata; quando 600 Arabi dei Benì-Geràr, montati sopra 300 cammelli e guidati da un Capo de' più arditi, passarono un po' a sud del pozzo allo scopo di sorprendere e derubare i Kubabìsc del numeroso loro gregge che intorno a quei luoghi da qualche giorno pascolava. I pastori però ch'erano alla custodia di quel bestiame non appena ebbero qualche sentore dell'avvicinarsi dei Benì-Geràr, lasciarono quel posto e s'avviarono verso il pozzo di Elài, che dista da Bir-Uày un giorno e mezzo circa di cammino. E quando i Benì-Geràr s'accorsero della ritirata dei Kubabìsc, due esploratori annunziarono al loro Capo la venuta della carovana al pozzo Bir-Uày. Quindi il Capo adunò la sua gente per chiedere se fosse miglior partito quello di dar tosto l'assalto alla carovana, o l'altro di seguir prima le orme dei Kubabìsc e impadronirsi dei loro bestiami. E tutti furono d'avviso di mover tosto verso il pozzo di Elài, imperciocchè la carovana per tre giorni almeno sarebbe rimasta al pozzo Bir-Uày per ristorarsi delle fatiche del viaggio e per dar riposo e nutrimento ai cammelli.
Partíron subito, e dopo alquante ore di buon trotto giunsero in Elài, ove il gregge dei Kubabìsc non era custodito che da qualche vecchio e da alcuni giovinetti, i quali, come videro i Benì-Geràr, si diedero alla fuga. I Benì-Geràr s'impadronirono di tutto il bestiame e lo incalzarono verso Bir-Uày, ove arrivarono dopo due giorni. Colà si misero in agguato, presso la carovana, dietro a due lunghe colline di sabbia aspettando il momento opportuno per assalirla.
I mercanti frattanto coi loro servi vivevano sicuri, tranquilli, allegri almanaccando intorno ai guadagni che speravano ricavare dal traffico delle loro mercanzie.
La vigilia del giorno fissato per la partenza, colui che soleva dirigere la carovana diè l'ordine di riunire i cammelli ch'erano sparsi qua e là, lasciati liberi di pascere gli arbusti spinosi della vallata. Tutti furono rinvenuti ad eccezione di un solo, che apparteneva a un mercante, il quale non poteva darsi pace d'averlo perduto; e vedendo appressarsi la notte, comandò a un suo schiavo di ricercarne le tracce e di seguitarle finchè l'avesse trovato. Lo schiavo, riconosciute le pedate, rinvenne il cammello del mercante, ma presso i Benì Geràr, i quali, come del cammello, divennero padroni anche dello schiavo.
Frattanto il mercante, passate alcune ore, vedendo che oltre il cammello anche il servo era scomparso, voleva egli stesso mettersi in cerca dell'uno e dell'altro; ma il suo amico Abd-El-Kàder: no, disse, è notte, e temo che tu smarrisca la via; andrò io, che sono un po' più pratico del deserto.
Abd-El-Kàder aspettò che tutti si fossero ritirati nelle loro tende; si ravvolse in una cappa bianca, e con un triste presentimento nell'anima si diresse pian piano a quella parte verso la quale s'era incamminato lo...