Introduzione
Il cammino morale della persona umana
Il peccato è un enigma che accompagna la storia dell'umanità.
Questo ebook ovviamente non ha nessuna pretesa di risolvere questo mistero. Il mio intento è molto più semplice: aiutare i fedeli cristiani a vivere con riconoscenza e gioia il sacramento della Riconciliazione1.
A questo scopo, penso che sia necessario presentare alcuni punti fermi che guideranno la nostra riflessione.
Innanzitutto, dobbiamo essere ben consapevoli che all'origine delle origini («In principio», come dice la Bibbia) sta la grazia di Dio e non il peccato. Il linguaggio cristiano deve essere incentrato sull'iniziativa di Dio, che è la grazia originale. Tale grazia inizia con la creazione e continua con l'alleanza del Primo Testamento e poi con quella del Nuovo Testamento stipulata nella persona di Gesù Cristo. Quest'ultima è un'alleanza nuova ed eterna, che ci accompagna tutti i giorni della nostra vita.
Il secondo aspetto che deve essere sottolineato con forza è il fatto che la rivelazione biblica ci parla della misericordia di Dio in un modo sorprendente già nel Primo Testamento. Si pensi all'annuncio fatto al serpente in Genesi 3,15 dove si dice che il calcagno della donna gli schiaccerà la testa. Questo annuncio è quello che i biblisti chiamano protovangelo, cioè l'annuncio della vittoria del piano di Dio contro ogni avversità del male. Possiamo ricordare anche, nello stesso terzo capitolo di Genesi, il dono che il Signore fa all'uomo e alla donna delle tuniche di pelli, con le quali li riveste e li protegge dalla loro nudità. Senza entrare nel dettaglio esegetico possiamo dire che la misericordia era già all'opera. Questo aspetto dell'atteggiamento di Dio nei nostri confronti, che chiamiamo misericordia, nel Vangelo assume contorni così profondi e inaspettati da costituire il solido fondamento della nostra speranza. Dio è creatore, è verità, è amore, è misericordia; egli è certamente anche giudice, ma un giudice che ha tutte le caratteristiche che ho elencato; quindi, non è un giudice secondo i nostri canoni, cioè di colui che semplicemente applica una legge. In Dio la legge stessa è espressione del suo amore.
Il terzo elemento che dobbiamo considerare è costituito dal fatto inoppugnabile che la nostra libertà è ferita. San Paolo nella sua lettera ai Romani ci dice che facciamo il male che non vogliamo (cf Rm 7,15). Da qui discende con tutta evidenza il nostro bisogno di liberazione, che con una parola tradizionale possiamo chiamare conversione, ma anche guarigione della nostra libertà, che una volta guarita è in grado di vivere l'amore in verità.
In quarto luogo, dobbiamo collocare il sacramento del Perdono all'interno del cammino di conversione del discepolo, come espressione della permanente misericordia di Dio nei nostri confronti e come lo strumento che ci permette la cura-guarigione della libertà, per la quale possiamo corrispondere alla vocazione di figli di Dio che amano come Gesù. In questa prospettiva la conversione è un cammino permanente, impegnativo, faticoso, ma soprattutto è un cammino riconoscente e gioioso di liberazione-guarigione, di fioritura della nostra umanità, che progressivamente si divinizza sotto l'azione dello Spirito Santo. Possiamo chiamare questo cammino con il nome di virtù della penitenza, quale atteggiamento del discepolo che desidera vivere a somiglianza del Signore Gesù e si interroga sul proprio cammino d'amore e ricorre al sacramento - farmaco di guarigione - quando comprende di aver mancato gravemente all'amore.
Infine, dobbiamo considerare che il cammino di conversione dei cristiani è inserito nel più ampio contesto della ricerca della verità e del bene proprio dell'umanità intera. Questo processo di ricerca è reso problematico da una serie di fattori, che qui non possiamo indagare. Tali fattori incidono fortemente anche nella coscienza dei fedeli cristiani2. Nella cosiddetta società civile pare che la cura della coscienza morale, l'impegno verso i grandi ideali, da sempre presenti nella storia dell'umanità e nella vita delle persone di «buona volontà», interessino un numero sempre minore di persone. In questa prospettiva, parlare di conversione nel dibattitto pubblico non ha molta presa e il tema non viene preso sul serio. In realtà, il cammino di conversione dovrebbe avere una valenza universale e sulla sua base i cristiani e i non cristiani dovrebbero potere dialogare per condividere una vita morale di alta qualità; vita morale di qualità per costruire una società più giusta che, per noi cristiani, è anticipazione del regno di Dio. Riprendo ora brevemente questi punti che ho voluto segnalare subito all'attenzione del lettore.
In principio la grazia
Occorre un cambiamento di impostazione rispetto a un passato, anche recente, in cui la vita morale era incentrata sulla legge e sulla preoccupazione di non peccare. La nuova prospettiva deve essere quella delle beatitudini, cioè vivere la vita cristiana come crescita nell'amore di Cristo.
Tutti noi sappiamo che il cammino di crescita nell'amore è un cammino permanente a cui siamo chiamati dal Signore Gesù il quale, con le parole di san Paolo, volte al plurale, «Ci ha amati e ha dato se stesso per noi» (Gal 2,20). Sempre san Paolo ci riempie di speranza, quando ci ricorda che nulla ci potrà separare dall'amore di Dio in Cristo Gesù (cf Rm 8,39).
Dobbiamo lasciarci rallegrare dall'approfondimento della prospettiva evangelica nella quale Gesù non propone in prima battuta di non peccare, ma di vivere il suo comandamento nuovo: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12). Quando nel Vangelo di Marco Gesù inizia la predicazione con le parole «Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15) intende invitare i suoi discepoli di allora e di oggi a somigliare a lui che è il Vangelo vivente. E Paolo con la sua semplice ma insuperabile profondità traduce così: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5). Perciò la vita cristiana si configura come crescita nella somiglianza alla persona di Cristo, il Figlio che fa in pienezza la volontà del Padre. Ovviamente questo approccio positivo non dimentica che in ogni persona c'è sempre la tentazione di fare a modo proprio, tentazione dalla quale nasce un modo difforme di vivere rispetto all'amore di Dio, per Dio e i fratelli, che chiamiamo peccato. Gesù stesso, dopo averci invitato a seguirlo nel cammino delle beatitudini e dopo averci proclamati luce e sale della terra, ci mette sull'avviso che il sale può perdere il sapore e diventa buono solo per essere calpestato (cf Mt 5,13).
La nuova traduzione del Padre nostro ci offre, nell'ultima domanda «non abbandonarci alla tentazione», una opportunità di riflessione sulla nostra vita. Se le relazioni interpersonali e i fatti della vita ci mettono spesso in tentazione, la vera tentazione alla quale chiediamo di non essere abbandonati è proprio quella di fare a modo nostro: liberaci dalla tentazione di fare a modo nostro, per fare a modo di Gesù.
Anche l'Anno Santo che la Chiesa celebra ogni 25 anni si colloca tra i doni disponibili per il cristiano al fine di crescere nella fede. Esso è innanzitutto una offerta generosa di misericordia che la Chiesa offre ai fedeli, perché questi riprendano di buona lena il loro personale cammino di fede, speranza e carità
Una libertà ferita che viene guarita
Tra gli innumerevoli testi evangelici3 che annunciano la buona notizia del perdono, al primo posto deve esserci il Padre nostro, che contiene in sintesi la fotografia del discepolo cristiano. La quinta domanda della preghiera insegnataci dal Signore Gesù dice: «Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». Commenterò questo testo più avanti, quando parlerò del perdono vicendevole tra i discepoli.
Qui voglio fermarmi brevemente sulla sesta domanda: «Non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male». La nuova traduzione del Padre nostro ha fatto questa scelta, così non dovremmo più cadere nell'equivoco che attribuisce a Dio le tentazioni, come se fossero dei tranelli. Quando pensiamo alle tentazioni possiamo immaginarne molte, tante quante sono gli ambiti della nostra vita. Se accogliamo l'insegnamento di san Paolo, profondo conoscitore del cuore di Dio e del cuore degli uomini, scopriamo che la tentazione fondamentale che ciascuno di noi prova è ancora quella di Adamo, cioè fare a modo nostro e non a modo di Dio, mancando di fiducia verso di Lui. Il testo principe in cui Paolo ci parla di questa tentazione originaria, l'enigma che accompagna la nostra storia, è il capitolo settimo della lettera ai Romani. In tale capitolo viene illuminata la contraddizione interiore presente in ogni persona umana: riconoscere che la legge di Dio è buona e fa vivere, e, allo stesso tempo, essere incapaci di viverla a causa di una resistenza interiore, che Paolo chiama legge del peccato. L'apostolo al termine delle sue riflessioni scoppia in un grido di dolore per questa sua (e nostra) incapacità di attuare il bene di Dio, che fa vivere, e di essere prigionieri di un male che fa morire. Ma subito dopo esplode in un grido di gioia e di riconoscenza, perché in Cristo la nostra libertà è guarita. All'uomo è dato di amare in verità. L'uomo è salvo!
Il sacramento del Perdono espressione e strumento della misericordia divina
Il cambiamento di modello nella valutazione del peccato è necessario per corrispondere al Vangelo. I cristiani dei secoli passati, soprattutto gli ultimi...