Maggio 2024: un manifestante delle camicie rosse fa il gesto con tre dita per chiedere la democrazia e opporsi all'uso del potere statale da parte della dittatura militare durante una commemorazione delle vittime di uno scontro con l'esercito avvenuto nel maggio 2010 a Ratchaprasong. In quell'occasione ci furono 25 morti e 800 feriti. Il gesto delle dita, come molti altri simboli usati nelle proteste thailandesi, è un riferimento pop ed è tratto da Hunger games.
«Expecto patronum»
La bizzarra lotta tra forze democratiche e monarchismo in Thailandia.
CLAUDIO SOPRANZETTI
CLAUDIO SOPRANZETTI - Antropologo e professore associato alla Central European University e Quondam fellow all'All souls College di Oxford. È autore di La fragilità del potere. Mobilità e mobilitazione a Bangkok (Meltemi, 2020), uno studio etnografico sui conducenti di mototaxi di Bangkok e sui loro ruoli nella città e nelle proteste delle camicie rosse nel 2010, e, insieme a Sara Fabbri e Chiara Natalucci, della graphic novel Il re di Bangkok (Add, 2019), entrambi caldamente consigliati dalla redazione di The Passenger.
A metà di Ratchadamnoen Klang road, l'enorme boulevard di ispirazione parigina che collega il Palazzo reale al parlamento thailandese, il monumento alla democrazia si erge solitario, incastonato nel mezzo di una rotonda gigantesca.
Commissionato nel 1939 da Phibunsongkhram, l'allora dittatore militare, per commemorare la rivoluzione che nel 1932 aveva posto fine alla monarchia assoluta, l'opera condensa le profonde contraddizioni della storia democratica thailandese. Disegnato dall'architetto thailandese Chitrasen Aphaiwong e realizzato dallo scultore italiano Corrado Feroci - quasi sconosciuto in patria, ma salito alla ribalta nel paese asiatico e lì divenuto uno dei padri delle arti visive moderne thailandesi - il monumento ha al centro l'enorme statua di un manoscritto in foglie di palma, a rappresentare la prima costituzione, introdotta dal governo post rivoluzionario. A farle da protezione, ma per alcuni versi anche a minacciarla dall'alto, quattro imponenti strutture alate, ognuna delle quali rappresenta una divisione delle forze armate - esercito, polizia, marina e aviazione - che hanno preso parte alla rivoluzione, o colpo di stato che dir si voglia, nel 1932. Alla base di queste ali, dei bassorilievi presentano le forze armate come personificazioni del volere, e dei valori, del paese, protettrici della costituzione e paladine della democrazia.
Una statua della costituzione circondata da quattro monumenti alle stesse forze armate che dal 1932 hanno stracciato lo statuto nazionale per tredici volte a furia di colpi di stato sembrerebbe l'apoteosi del bizzarro, ma è solo la prima di molte stranezze che colorano la politica thailandese dell'ultimo secolo.
Quella che leggerete, infatti, è una storia piena di contraddizioni, in cui registri e simboli apparentemente incompatibili sembrano fondersi, momenti grotteschi assumono un significato epocale e azioni comiche si rivelano di una serietà mortale.
È la storia di Anon Nampa, un avvocato, attivista e poeta di quarant'anni - una delle migliori menti legali della Thailandia - che si trova nel blocco 4 della prigione di Remand, nel Nord di Bangkok, condannato a dieci anni e in attesa di altri quattordici processi per i reati più disparati, dall'utilizzo di un amplificatore senza permesso a dodici accuse di lesa maestà, ognuna delle quali potrebbe potenzialmente costargli dai tre ai quindici anni di detenzione. Tra questi, il più grave, quello per cui ancora attende giudizio, è essersi travestito da Harry Potter e aver violato uno dei tabù del mondo creato da J.K. Rowling così come della Thailandia contemporanea: chiamare pubblicamente per nome il cattivo della storia, «Colui-che-non-deve-essere-nominato».
Più in generale è la storia della Thailandia contemporanea, un paese che ormai da anni è entrato in una spirale senza fine di aperture politiche e chiusure repressive, di grandi mobilitazioni e di conseguenti colpi di stato, di costituzioni scritte e di lì a poco strappate, di risultati elettorali ignorati e di partiti vincenti sciolti dalle corti nazionali. Un paese che, in particolar modo dalla salita al trono di re Vajiralongkorn nel 2016, vive in bilico tra discussioni oneste sul futuro della sua monarchia e tentativi di mettere a tacere qualsiasi dibattito, per ridonare all'istituzione il lustro assolutista che ha perso nel 1932.
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Ma torniamo al monumento alla democrazia e alle sue sorti.
Largamente lasciato a se stesso nei decenni successivi alla sua costruzione, il monumento divenne nel 1973 il fulcro di una stagione di mobilitazioni popolari contro l'ennesimo regime militare, di aperture democratiche e conflitti politici a cui le forze armate posero fine in maniera violenta nel 1976. Seppure anche questa volta i militari ebbero il sopravvento, l'opera dello scultore italiano divenne il luogo simbolo delle lotte democratiche thailandesi.
Qui ebbero luogo le sommosse popolari che posero fine a una lunga fase di dittature militari nel 1992. Qui videro i loro albori, nel 2009, le manifestazioni delle camicie rosse che, opponendosi a un altro intervento militare che nel 2006 aveva scalzato, Thaksin Shinawatra, il loro primo ministro eletto, avrebbero l'anno successivo bloccato l'intera Bangkok e ottenuto nuove elezioni nel 2011. E sempre qui, nel luglio del 2020, ha avuto inizio la più recente fase di mobilitazione democratica, animata questa volta da un gruppo di studenti e attivisti sotto il nome di Free youth.
Emerso in pieno covid, questo movimento si opponeva al governo del generale Prayut Chan-ocha, responsabile di un colpo di stato nel 2014. Dopo aver preso il potere, i militari avevano promulgato una nuova costituzione che rendeva quasi impossibile la creazione di un governo civile e che aveva permesso loro di formare un governo con meno del 25 per cento dei voti a seguito delle elezioni del 2019. Non paghi, nel 2020 avevano usato la corte costituzionale per sancire lo scioglimento del partito progressista Future forward (Futuro nuovo), emerso nel 2018 come la nuova voce critica nei confronti del generale Prayut, erede di una lunga storia di partiti democratici caduti vittima del potere militare e della connivenza delle corti nazionali.
Per opporsi a tutto ciò, il 3 agosto del 2020 i Free youth si riunivano per una protesta dal titolo a dir poco curioso: «Harry Potter vs Tu-sai-chi o Colui-che-non-deve-essere-nominato». Se i loro predecessori si erano accalcati intorno al monumento alla democrazia armati di striscioni e bandiere, questi dimostranti avevano con sé mantelli neri e bacchette magiche.
Era la seconda giornata di manifestazioni, dopo quella del 18 luglio, in cui una piccola folla composta perlopiù da studenti e studentesse si era ritrovata in strada, contravvenendo alle restrizioni del lockdown, per chiedere lo scioglimento del parlamento dominato dai militari, una nuova costituzione e la fine delle politiche intimidatorie verso gli oppositori politici. Questa volta, però, la protesta sembrava indirizzata altrove. Dal piccolo palco montato a lato del monumento alla democrazia, uno spaventapasseri coperto da un mantello nero e la faccia stampata di Lord Voldemort, la nemesi di Harry Potter, osservava gli sparuti manifestanti che brandivano bacchette magiche e cartelli con su scritto «Non ho paura di te» o «Anche gli esiliati sono persone». Sotto il palco uno striscione viola scuro con lettere dorate annunciava lo slogan di questa protesta: «Lanciamo un incantesimo per cacciare Tu-sai-chi.» Appesa al collo dello spaventapasseri penzolava una foto di Voldemort circondata da una cornice arzigogolata, un'allusione non così discreta ai ritratti del re che campeggiano in tutti i luoghi pubblici.
«Harry Potter è la storia di una lotta di giovani maghi e streghe e dei loro insegnanti contro le forze del male, che nessuno osa chiamare per nome, e che vogliono conquistare il regno» esordisce dal palco Thatchapong Kaedam, uno dei giovani leader. «La missione più difficile è combattere il sistema di Tu-sai-chi.» Il pubblico rumoreggia in segno di approvazione. «Il sistema di Tu-sai-chi» continua Thatchapong «si è esteso in quasi ogni istituzione, in quasi ogni organizzazione, sia nel regno magico che nel regno degli uomini. Ha persino preso il controllo del ministero della Magia.» Di nuovo assenso della folla. «Ma da quando Prayut Chan-ocha è salito al potere.» fa finta di impappinarsi. «Aspettate, che ci fa Prayut in questo libro? Dimenticate Prayut. Da quando è salito al potere attraverso un colpo di stato un ministro della Magia che è un medium di Tu-sai-chi, chi ha cominciato a vedere le cose in maniera diversa? I giovani maghi e le giovani streghe, giovani come noi. Allora prendete le vostre bacchette e combattiamo Voldemort e il suo sistema.» Si spolmona Thatchapong invitando la folla a direzionarsi, bacchette alla mano, verso il monumento alla democrazia.
Palloncini al vento davanti al ritratto del re Rama X e della regina a un incrocio nella provincia di Yasothon.
Guardie reali davanti al...