L'avenue della rivolta
Nel novembre 2018, migliaia di persone si sono radunate a Parigi per manifestare contro l'aumento dei prezzi del carburante e l'elevato costo della vita. Vestiti di giubbotti gialli catarifrangenti e scandendo slogan ispirati alla Rivoluzione francese e al Maggio '68, sono discesi sull'«avenue più bella del mondo» gli Champs-Élysèes, simbolo del potere della Repubblica e delle ineguaglianze nella società francese, e per mesi l'hanno messa a ferro e fuoco. Era l'unico modo per farsi ascoltare.
Ludivine Bantigny
Traduzione di Nicola Jacchia
LUDIVINE BANTIGNY - Storica, docente all'Università di Rouen, si occupa di storia dei movimenti sociali e della lotta politica, con un'attenzione particolare al Maggio '68 in Francia. Tra le sue numerose pubblicazioni ci sono 1968, de grands soirs en petits matins (Seuil, 2018), La France à l'heure du monde. De 1981 à nos jours (Seuil, 2013) e Révolution (Anamosa, 2019). Il suo ultimo libro, da cui è tratto questo articolo, è una storia politica e sociale degli Champs-Élysées.
«Mai visto niente di simile.» Lo ripetono in continuazione vari poliziotti, inebetiti. Il fatto che una sollevazione popolare prenda di mira l'avenue degli Champs-Élysées, viale monumentale e simbolo nazionale, ha dell'incredibile. Inatteso, inedito, inaudito, il movimento dei gilet gialli è un vero e proprio evento. Nel pieno del suo svolgimento, suscita già la sensazione che nulla sarà più come prima. La sua originalità, l'effetto sorpresa che ha creato, la determinazione, il grado di intensità gli conferiscono una potenza di portata storica. Le scene eccezionali si moltiplicano: barricate date alle fiamme; Marianne che fronteggiano la polizia; manifestanti ai comandi di una gru da cantiere; altri che portano fuori delle poltroncine da un ristorante e si accomodano nel bel mezzo del viale; vetrine che finiscono in frantumi.
È il potere stesso a esser preso d'assalto, e fin sotto le finestre del palazzo. Qualche mese prima l'inquilino dell'Eliseo ha buttato lì una frase che, a prima vista, non sembrava prestarsi a conseguenze: «Che vengano a cercarmi!» I gilet gialli l'hanno preso in parola. E ora la paura si è insediata ai vertici dello stato. I Campi Elisi si tramutano in campi di battaglia. Le immagini degli scontri sono di volta in volta insolite e affascinanti, «magiche» per alcuni, terrificanti per altri. E i commenti non si fanno attendere: le manifestazioni non sono più cortei ben regolamentati; ora prendono di mira i simboli del potere.
A essere sconvolto è un luogo al tempo stesso singolare e familiare: una avenue da cartolina dove il popolo si prende il posto che non ha mai trovato. È il paradosso degli Champs-Élysées: un luogo eminentemente politico, dove ogni giorno la politica viene abolita a favore di turismo e consumo. Dove il lusso si racconta in ogni sua manifestazione più inaccessibile. Adesso, sulla scia degli eventi, gli Champs-Élysées tornano a politicizzarsi, mostrandosi per quello che sono. Del resto l'essenza di una rivolta è far apparire i luoghi sotto altre prospettive, indurne una metamorfosi, dar loro un nuovo senso. L'occupazione delle rotatorie trasforma dei luoghi senz'anima in luoghi comuni. La rivolta restituisce visibilità agli invisibili e ai dimenticati dai media. Conquistare gli Champs vuol dire mettere in luce tutte le violenze in virtù delle quali l'ordine sociale si vorrebbe pacificato; e per i suoi protagonisti rappresenta un'opportunità per essere visti, ascoltati e, forse, compresi. È la forza di un tumulto, con tutta la sua violenza e la sua allegria. Un tumulto dove si mescolano la gioia e lo sconcerto di ritrovarsi in un luogo improbabile. «On est là», siamo qui, cantano i gilet gialli in uno dei loro inni. Qui, dove nessuno si sarebbe mai aspettato.
«INDIGNATEVI!»
Atto I. Il 17 novembre 2018, a decine di migliaia, i gilet gialli invadono rotatorie, bloccano caselli, occupano strade e autostrade. Un gruppo decide di andare a manifestare sugli Champs-Élysées. Verso mezzogiorno, un migliaio di persone sta convergendo verso l'Étoile, la piazza dominata dal monumentale Arco di Trionfo. L'idea iniziale è quella di bloccare il traffico marciando sulle strisce pedonali. Nel giro di poco, invece, la folla si impadronisce dell'intero viale. Alcuni manifestanti, bandiere francesi al vento e «Marsigliese» cantata a squarciagola, si rivolgono direttamente alle Compagnies républicaines de sécurité, Crs, le forze antisommossa della polizia francese: «La polizia con noi!» Ma è una polizia che parla la lingua delle granate: conviene aggirarla, evitarla, procedere a zig-zag. Ben presto la manifestazione sfugge ai canoni dei cortei. Ci sono persone di ogni età. Slogan e gilet parlano di tasse, potere d'acquisto, di uno stato che non riconoscono e che non li riconosce. «Macron démission», l'inno che fa da collante del movimento, è un'ingiunzione alle dimissioni del capo dello stato. «Svegliatevi, indignatevi!» si legge su un cartellone. Si innalzano barricate. Rombano moto. L'avenue-palcoscenico è diventata teatro di scontri.
«La zona è irriconoscibile: camion in fiamme in mezzo alla strada, una banca incendiata, un intero settore transennato, volute di fumo che trasformano gli scorci delle strade in scene da apocalisse.»
Passa una settimana, i gilet gialli tornano sugli Champs. L'account Twitter della sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, sembra ignorarli, invitando invece a «venire ad ammirare le splendide luminarie degli Champs-Élysées». Un errore di comunicazione, riconosce presto un suo consigliere, Matthieu Lamarre. Tutto viene travisato, stravolto. Come il verso della canzone di Joe Dassin, che da «Je m'baladais sur l'avenue le cour ouvert à l'inconnu.» («Passeggiavo sull'avenue col cuore aperto all'ignoto.») diventa «J'manifestais sur l'avenue, mais mon gilet leur a pas plu.» («Manifestavo sull'avenue ma il mio gilet non gli va giù.»). I dimostranti giungono a breve distanza dall'Eliseo, residenza del presidente, all'incirca un centinaio di metri. La zona è irriconoscibile: camion in fiamme in mezzo alla strada, una banca incendiata, un intero settore transennato, volute di fumo che trasformano gli scorci delle strade in scene da apocalisse. Le immagini fanno il giro del mondo. La Repubblica parla di guerriglia. Un giornalista del canale di news Bfmtv, l'indomani, spiega in diretta che i gilet gialli hanno disselciato il viale per un centinaio di metri. A una successiva verifica risultano invece lavori in corso: i manifestanti non c'entrano nulla con il lastricato divelto. Ma il malinteso la dice lunga sull'atmosfera drammatica. Tre giorni dopo, a seguito dell'incontro col ministro dell'Ambiente François de Rugy, i due esponenti del movimento identificati dai media francesi come suoi portavoce, Éric Drouet e Priscillia Ludosky - imprenditrice che nel maggio 2018 ha lanciato una petizione, «Per la diminuzione dei prezzi del carburante al dettaglio!», sottoscritta in poco tempo da centinaia di persone, e giunta ormai ben oltre il milione di firme - chiamano nuovamente a raccolta sugli Champs per il sabato seguente. E così, per ogni sabato a venire.
All'atto III, il primo dicembre, per la prima volta si delinea un'ampia convergenza di movimenti. Ferrovieri, collettivi antirazzisti, studenti, giovani delle periferie popolari, sindacati, donne e uomini di diverse appartenenze politiche. Il sindacato dei ferrovieri Sud rail incita a «salire sul treno della rabbia sociale». Il Comité Adama - collettivo che reclama giustizia e verità per Adama Traoré, un ragazzo di 24 anni morto il 19 luglio 2016 presso la stazione della gendarmeria di Persan, dove era in stato di fermo - insiste sull'esigenza di solidarietà: «Anche noi, abitanti dei quartieri popolari, lavoriamo per stipendi da fame nei settori più esposti alla precarietà.» L'appello continua gettando un ponte tra le periferie e i territori rurali isolati: «Anche noi siamo spesso costretti a fare ore di macchina per arrivare sul posto di lavoro: fabbriche, imprese, pulizie industriali, settore della sicurezza. In tanti siamo colpiti dalla disoccupazione che, in certi quartieri, interessa il quaranta per cento della popolazione.» E conclude: «Dobbiamo allearci in nome dell'uguaglianza.» Il filosofo ed economista Frédéric Lordon invita invece a «riversare ogni rabbia nel calderone».
IL MASSACRO DI PARIGI
Il 17 ottobre 1961 segna uno dei momenti più bui nella storia delle manifestazioni politiche parigine. Quel giorno una folla di trentamila algerini, chiamati a raccolta dal Fronte di liberazione nazionale, manifestò contro il coprifuoco razzista decretato dal prefetto Maurice Papon, che vietava ai musulmani di circolare dopo le 20:30. La Francia era alle battute finali della sanguinosa Guerra di Algeria, durata dal 1954 al...