Abitanti di Geller, nello stato di Adamawa, si procurano l'acqua a uno stagno.
La società del fai da te
FEMKE VAN ZEIJL
Traduzione di Cristina Vezzaro
«Ogni famiglia è uno stato a sé» dicono i nigeriani: un detto che si riflette in quasi tutti gli aspetti della vita pubblica e privata e offre la chiave di lettura perfetta di un paese che racchiude un universo.
FEMKE VAN ZEIJL - Scrittrice e giornalista olandese, dal 2012 vive e lavora in Nigeria, ed è pertanto tra le corrispondenti estere di più lungo corso nel paese. Il suo ultimo libro, in uscita in Olanda nel 2022, è dedicato all'argomento di questo articolo: la società del fai da te.
I gas di scarico si diffondono in dense nubi sopra il traffico paralizzato di Bodija road. È sabato sera e tutta Ibadan sembra voler andare da qualche parte. La strada è a due corsie, ma le auto si sono pigiate di loro iniziativa su tre file. Un tassista, nella speranza di arrivare più rapidamente a destinazione, si lancia contromano con la sua Micra scassata, e a quel punto il caos diventa totale. Il suo taxi rosso e giallo incappa in un fronte strombazzante di auto in direzione opposta, e alle sue spalle il traffico si è già richiuso, paraurti contro paraurti. È lo stallo: nessuno riesce più ad andare né avanti né indietro. Nel cuore di una delle più grandi città della Nigeria la circolazione è bloccata, e dei vigili urbani, che normalmente regolano il traffico da un gabbiotto metallico al centro di quell'incrocio congestionato, non c'è traccia.
Poi accade un piccolo miracolo. Un uomo alto scende dalla sua auto, si dirige verso la Micra e inizia a discutere animatamente con il tassista. Poi comincia a gesticolare in direzione delle auto incolonnate come un direttore d'orchestra ed ecco: iniziano davvero a muoversi. Tutti gli automobilisti, ubbidendo al vigile improvvisato come fosse un agente in divisa, inseriscono docili la retromarcia. Metro dopo metro, l'uomo riesce a liberare l'incrocio, poi risale in macchina e riparte.
Questa scena si è svolta in una strada affollata che porta al mercato di Ibadan, a più di cento chilometri da Lagos, ma potrebbe capitare anche a Kano nella confusione del festival Durbar, o a Enugu, nel Sudest del paese, o anche a Port Harcourt, la città petrolifera sul delta del Niger. I nigeriani non hanno bisogno delle autorità per risolvere problemi di questo genere: fanno da sé.
La mentalità nigeriana del fai da te va ben oltre al trovare la soluzione per un banale ingorgo stradale. Dopo decenni di indifferenza e di interventi insufficienti da parte dello stato, i nigeriani si sono abituati a cavarsela da soli: nessuno fa affidamento sui servizi pubblici, in genere inadeguati se non del tutto assenti. L'inventiva con cui fanno fronte a queste difficoltà non conosce limiti.
«Ogni famiglia è uno stato a sé» sostengono i nigeriani: un modo di dire che si riflette in quasi tutti gli aspetti della vita pubblica e privata e offre la chiave per comprendere meglio un paese che rappresenta un universo a sé stante.
L'aspetto più straordinario della società del fai da te è il modo in cui i nigeriani si procurano la corrente elettrica. Il più grande produttore di petrolio dell'Africa non riesce a fornire più di quattromila megawatt di elettricità a una popolazione che, secondo le stime, conta oltre duecento milioni di persone: nemmeno un decimo del fabbisogno nazionale di energia. Il 43 per cento degli abitanti non è allacciato alla rete elettrica, e agli altri la luce salta in continuazione.
UP NEPA!
La stanza è buia, illuminata da qualche candela. All'improvviso un rumore, una specie di ronzio. La casa si risveglia, tutti corrono ad accendere telefonini, caricatori, modem, frigorifero, lavatrice. è il ronzio che annuncia il ritorno della corrente. «Up Nepa!» grida qualcuno, giubilante. Nepa è l'abbreviazione di National electric power authority - o, come dicono i nigeriani, «Never expect power always», non aspettarti corrente costante - ed è sinonimo di elettricità. Poco importa che l'agenzia governativa non esista più da anni, assorbita nella Power holding company of Nigeria, Phcn (o «Please hold candle nearby», tieni una candela a portata di mano): Nepa rimane il nome della più grande fonte di frustrazione (e satira) del paese. La Banca mondiale ha calcolato che la corrente salta per 4600 ore all'anno, o sei mesi, peggio che in qualsiasi altro paese africano. L'elettricità va e viene, imprevedibilmente, e i blackout possono durare pochi minuti, ore, giorni, e anche mesi e anni in alcune zone. Se a casa ci si può fare l'abitudine - o si compra un piccolo generatore a benzina - per le attività commerciali di tutti i tipi il costo aggiuntivo di assicurarsi autonomamente un approvvigionamento costante è disastroso per il bilancio. L'Fmi stima che l'economia nigeriana perda 29 miliardi di dollari all'anno per colpa della Nepa. Le cause sono molteplici: cronica mancanza di investimenti, bassa produzione di energia, scarsa manutenzione degli impianti, sprechi nella distribuzione, una privatizzazione mal concepita nel 2014. Intanto, rassegnati, i nigeriani tendono le orecchie per sentire il ronzio e gridare finalmente «Up Nepa!».
«Il fracasso dei motori è il sottofondo musicale della società del fai da te, e chiunque visiti il paese per la prima volta resta sbalordito dal rumore e dal tanfo di questa alternativa popolare alla distribuzione di energia elettrica.»
E così, si innalza un coro ruggente di gruppi elettrogeni. Un tempo l'acquisto di un generatore di corrente era fuori dalla portata del nigeriano medio, ma da quando esiste un modello mini, da cinque litri, le cose sono cambiate. «I-better-pass-my-neighbour», lo chiamano così, «Devo far meglio del mio vicino». A pieno carico il serbatoio da cinque litri di benzina mista a gasolio ha un'autonomia di più o meno cinque ore e permette di utilizzare circa 750 watt: una manciata di lampadine, un ventilatore e una tv.
Il modello mini si adatta anche a piccoli balconi, e il suo lancio negli anni Novanta ha democratizzato l'uso dei generatori in Nigeria, prima riservato alle élite. Ora si trovano nei mercati, nelle strade dei negozi, nei quartieri della classe media, nelle baraccopoli, in campagna e nei campi profughi. Il fracasso dei motori è il sottofondo musicale della società del fai da te, e chiunque visiti il paese per la prima volta resta sbalordito dal rumore e dal tanfo di questa alternativa popolare alla distribuzione di energia elettrica.
Il problema del rumore e dei costi elevati - i nigeriani spendono ogni anno circa venti miliardi di euro in carburante per i loro generatori - hanno spinto sempre più le persone a cercare nuove soluzioni per l'approvvigionamento privato di corrente. Lo dimostra la crescente popolarità dei pannelli solari: negli ultimi anni il mercato ha registrato una crescita esponenziale, tanto da collocare la Nigeria tra i cinque paesi con il maggior numero di impianti solari domestici. Le celle in silicio luccicano ormai sempre più spesso nelle ville dei ricchi e sui tetti della classe media.
In Europa, un pannello solare sul tetto rappresenta più che altro una scelta ambientale consapevole, mentre negli Stati Uniti il modello di vita off-the-grid, autosufficiente, è ormai un movimento politico; in Nigeria, invece, l'energia solare è una pura necessità, nonché la logica conseguenza della certezza che, prima o poi, la rete elettrica pubblica ti pianterà in asso. L'impegno con cui i nigeriani si sono dati da fare per risolvere il problema da sé ha fatto sì che per quanto riguarda l'energia solare il paese sia uno dei mercati più in crescita al mondo.
È probabile che, di questo passo, la Nigeria non otterrà mai una copertura capillare della rete elettrica, ma in compenso passerà subito a una rete più sostenibile di energia rinnovabile. In questa prospettiva, il pesante ritardo nello sviluppo del paese - poche nazioni hanno un approvvigionamento elettrico peggiore della Nigeria - può rappresentare un'occasione per lo sviluppo stesso.
Tra l'altro, per la famiglia nigeriana media l'energia elettrica è indispensabile anche per alimentare la pompa dell'acqua in cortile. Infatti, oltre alla fornitura elettrica, anche quella idrica è carente: solo il dieci per cento dei nigeriani ha accesso all'acquedotto. Le cose non sono cambiate dai tempi coloniali.
UNA CITTÀ AUTO ORGANIZZATA
Alla fine degli anni Novanta, l'architetto olandese Rem Koolhaas, che dirigeva un programma di ricerca a Harvard sull'urbanismo nel mondo, si appassionò a Lagos e ci andò una ventina di volte in cinque anni, assistendo alla transizione verso la democrazia. Nella metropoli nigeriana, che era ancora fuori dai circuiti della globalizzazione, Koolhaas voleva studiare la modernizzazione di un paese attraverso uno dei suoi motori principali, l'urbanizzazione, e vedere cosa succede a una società quando lo stato è assente. Osservò...