Cose che cambiano
FABIAN FEDERL
Traduzione di Margherita Carbonaro
Davanti al Bar da dona Onça, uno dei ristoranti più famosi del centro di San Paolo, una ragazza è in fila col suo fidanzato. A un certo punto si tende verso di lui e sussurra: «Ma non è quella della telenovela, là davanti?» Lui fa segno di sì. Una cameriera ha messo in mano all'attrice un foglietto con un numero. Qui la coda la fanno tutti, nessuno escluso, anche chi viene dai quartieri eleganti: attori, stelle del calcio, musicisti. Un modello è appoggiato a una colonna, un fotografo superhipster gli sta sistemando il colletto. Due uomini in coda, abbigliamento identico, pantaloni neri un po' corti, occhiali con montatura a giorno, borse di tela New Yorker, mentre discutono se sia stato il Guardian o il New York Times a definire questa struttura gigantesca, grigia, arcuata - l'Edifício Copan che al pianterreno ospita il Bar da dona Onça - «l'architettura più cool dell'America Latina».
Nei primi anni Duemila la zona del centro dove sorge il Copan era il quartiere più degradato di San Paolo - e il Copan stesso un luogo estremamente pericoloso. Oggi l'edificio è quasi il punto centrale di tutto ciò che vale la pena di visitare in città: i teatri e le sale da concerto, i ristoranti e i bar, le feste, le gallerie, i parchi e in generale il gigantismo che ti circonda in ogni istante.
La forma sinuosa del Copan si ispira alla tilde sopra la «a» di São Paulo. Fu progettato negli anni Cinquanta da Oscar Niemeyer, il più celebre architetto sudamericano, e quanto a superficie è il condominio più grande del mondo. Qui vivono cinquemila persone in quasi 1200 appartamenti distribuiti su 32 piani. Alcuni misurano centinaia di metri quadrati, in altri si è costretti a dormire su un divano letto. Diversi alloggi sono disponibili su Airbnb.
Il Copan è come una piccola città nella città. Al pianterreno ci sono 72 negozi, agenzie di viaggio, una chiesa evangelica, due spazi espositivi - oltre a locali alla moda come il Bar da dona Onça dove tutto, dai tovaglioli ai fotomontaggi alle pareti, è decorato con dei leopardi alquanto kitsch. Durante il giorno, gli inquilini del Copan, passanti e turisti si riversano nelle gallerie al pianterreno, camminando davanti alle targhe smaltate degli anni Sessanta che indicano il punto in cui ci si trova. Si mescolano alle decine di custodi che conoscono tutti quelli che vivono nelle rispettive scale, pronti ad aprire loro le porte degli ascensori, e ai gruppi di impiegati che lavorano negli uffici dei grattacieli circostanti.
Si dice spesso che a San Paolo non si vede mai l'orizzonte perché la vista è sempre coperta da un edificio. Il che però non è vero se ci si trova al piano giusto del Copan: con un po' di fortuna, in assenza di pioggia, di smog o di foschia da qui si possono vedere le colline al margine settentrionale di questa metropoli da venti milioni di persone. Un europeo qui si sente come un ragazzo di campagna, affascinato dalle infinite catene luminose create dai fari delle automobili, dai grattacieli, dalle centinaia di elicotteri e aerei sospesi sopra la città. A seconda della posizione, lo sguardo è rivolto verso le otto corsie della rua da Consolação, che conduce alla ricca parte meridionale della città, o verso il Minhocão, il leggendario «Lombricone»: una strada sopraelevata che nel fine settimana viene chiusa e diventa una popolarissima area pedonale per il tempo libero.
Sul Minhocão i paulistani portano a passeggio i cani, vanno in skateboard o in bicicletta. I muri delle case, che a volte si trovano a pochi centimetri dal bordo della strada, sono interamente coperti di murales, mentre ai lampioni sono incollati manifesti politici e volantini di lettura dei tarocchi o dei fondi di caffè. Decine di migliaia di persone si affollano alla domenica sulla strada di accesso del quartiere Santa Cecilia, per andare al mercato settimanale a bere estratto di canna da zucchero e a mangiare pasteis de feira, coxinhas - le cose più grasse e quindi il meglio che la città può offrire. Il Lombricone parte da praça Roosevelt, una piazza vicino al Copan, dove adolescenti e studenti stazionano la sera con le loro lattine di birra, e passa dai Campos Elíseos, un altro quartiere centrale distante circa due chilometri. Là le strade sono più strette che nel resto di San Paolo, ma anche meno densamente costruite. Ci sono ancora le ville del Diciannovesimo secolo, quando la città si arricchì grazie alla coltivazione e all'esportazione di caffè: i sontuosi edifici a più piani dei baroni del caffè di una volta, in stile coloniale, circondati da splendidi giardini. Nello stesso tempo Campos Elíseos è uno dei luoghi più degradati della città.
Là c'è anche la splendida Sala São Paulo, una vecchia stazione riconvertita in sala da concerto, con un'acustica tra le migliori del mondo, che ospita regolarmente direttori d'orchestra da New York o Tokyo. Ma ad appena cinque metri dall'ingresso ci sono tende e teloni, sui quali sono accampate centinaia o forse migliaia di persone, avvolte in coperte grigie. Alcuni aspirano nervosamente da cannule di vetro, altri maneggiano spiccioli per acquistare pietruzze di crack. C'è chi tira calci alle lattine e c'è chi lancia grida confuse, mentre altri sono collassati in mezzo alla strada. Qui attorno girano fino a tremila craqueiros. A Campos Elíseos si può vedere bene quel che succedeva attorno all'Edifício Copan 15 anni fa.
Affonso de Oliveira, l'amministratore del Copan, ha molto da raccontare su quei tempi bui. Lo troviamo al primo piano dell'edificio, davanti alla sua scrivania, un 79enne alto e robusto con i capelli bianchi e una tendenza al borbottio. Davanti a lui sono ammucchiati libri di architettura, di urbanistica e sul Copan. Sulla parete alle sue spalle ci sono fotografie panoramiche scattate dalla terrazza, vecchi orologi e calendari, una pulsantiera di uno degli ascensori degli anni Cinquanta: tutti regali che gli hanno fatto gli inquilini. Il radiotelefono appeso alla cintura di Affonso gracchia in continuazione: il custode Luis, uno dei 103 dipendenti, sta cercando la pianta delle linee elettriche guaste del blocco B. Il cellulare vibra sul tavolo. Ogni paio di minuti la segretaria porta foglietti pieni di appunti e note.
Affonso ha vissuto il declino del Copan e poi la sua rinascita. Quando vi si è trasferito nel 1963 era uno studente di chimica, e il Copan era ancora un edificio di prestigio. San Paolo, centro amministrativo della regione agricola circostante, stava vivendo allora una fase di boom e si pensava che sarebbe diventata una specie di New York brasiliana. Attori, musicisti e artisti abitavano nel Copan, Caetano Veloso scriveva canzoni su quel quartiere. Negli anni Ottanta iniziò la fuga dal centro; chi aveva soldi si trasferiva a Ovest, in centro si concentrò la povertà. «Nel 1993 è arrivato il crack» dice Affonso. «A quell'epoca sul mio piano viveva una donna con due bambini. Ogni sera li vedevo da soli nel corridoio vuoto, davanti alla porta dell'appartamento, mentre la madre riceveva all'interno i suoi clienti.» Al piano di sotto viveva un poliziotto che spacciava crack. Spesso qualcuno moriva di overdose o ammazzato, o si buttava giù dal tetto, nell'estasi della droga o per la disperazione. Spesso scoppiavano incendi. A metà degli anni Novanta tutti i negozi al pianterreno avevano ormai chiuso.
Affonso non ce la faceva più a vedere il palazzo andare in rovina, si fece assumere come amministratore e cominciò la sua opera di rinnovamento. Chiamò i custodi delle cinque scale, da A a E, e mise a verbale: quali inquilini ricevono ogni paio d'ore nuovi «amici», «conoscenti», «colleghi»? Minacciò spacciatori e prostitute, dicendo ogni giorno che avrebbe chiamato la polizia. Molti pensarono che fosse un bluff, ma Affonso faceva sul serio. Riceveva intimidazioni ed era pedinato, girava per il Copan armato e col giubbotto antiproiettile. Cominciò a installare telecamere nelle gallerie e davanti ai portoni, poi anche nelle strade circostanti. «Alla fine gli spacciatori hanno lasciato il Copan perché era diventata una seccatura» dice. «Niente spacciatori vuol dire niente craqueiros, e niente craqueiros vuol dire niente criminalità, e quindi niente paura.»
Chi lavorava nei quartieri generali delle grandi aziende in centro riprese a sentirsi sicuro attorno al Copan. Verso il 2007 la zona era tornata a riempirsi durante la pausa pranzo. Aprivano sempre nuovi ristoranti, tra cui il Bar da dona Onça, ma anche la Padaria Santa Efigênia, anch'essa all'interno del Copan: una «panetteria» tipica di San Paolo, in realtà una specie di ristorante-panetteria-caffè-edicola-bar-negozio di souvenir. A duecento metri di distanza, in praça Roosevelt, si videro i primi locali, e gli abitanti dei quartieri più ricchi presero a frequentare il centro. A un certo punto qualcuno ci si trasferì pure. E il posto migliore si rivelò allora il Copan. Seguirono studenti e artisti, e in seguito una clientela un po' più borghese.
Nel 2018 il Copan era tornato più o meno ai fasti di un tempo. Negli spazi al pianterreno dove negli anni Sessanta si incontravano artisti che avrebbero poi esposto le loro opere a New York e Londra aveva aperto l'anno precedente il primo bar dall'atmosfera internazionale. All'ingresso del Fel bisogna dare innanzitutto il proprio nome, poi si viene accompagnati da un cameriere in abito. Il locale ha un arredamento scuro, rosso-bruno, con piccole lampade a forma di palla che diffondono nel locale una luce opaca e smorzata, quasi illuminassero controvoglia. Qui non ci sono caipirinha e vodka &...