1. Il pellegrino Martin Lutero si scandalizza
PIAZZA DEL POPOLO
"C'è a Roma un detto:" ha scritto Martin Lutero "beata la madre, il cui figlio celebra una messa il sabato in San Giovanni! Quanto volentieri avrei reso beata mia madre! Ma c'era troppa ressa e non riuscii a entrare." È il novembre del 1510, Martin Lutero si trova a Roma in compagnia di un altro monaco, mandato in città dal convento agostiniano di Erfurt, in Germania. Si narra che Lutero alloggiò a piazza del Popolo. Quella che si aprì ai suoi giovani occhi era la città di papa Giulio II, ancora medievale ma già avviata sulla strada della rinascita, in pieno fermento urbanistico; erano gli anni in cui Michelangelo lavorava alla Cappella Sistina e Raffaello alle Stanze pontificie.
Cinque secoli dopo, il teologo valdese Paolo Ricca ha detto: "Tra Lutero e Roma c'è un rapporto critico e creativo che merita di essere rivisitato e situato nel nostro tempo, caratterizzato dal dialogo ecumenico e dalla nascita di società multiculturali." È una bella chiave di lettura, questa del dialogo ecumenico e del multiculturalismo, attraverso cui immaginare Lutero, quando è ancora un semplice pellegrino in mezzo agli altri, mentre si aggira ammirato e scandalizzato per le strade della città eterna.
La sua ribellione deve ancora consumarsi, la sua lucida analisi deve ancora dispiegarsi, ma forse le istanze di libertà e verità da cui nacque la Riforma cominciavano ad agitarsi nella mente del teologo tedesco già sette anni prima di affiggere sul portone della chiesa di Wittenberg le 95 Tesi sulle indulgenze. Di sicuro sembra significativo - e in qualche modo premonitore dell'immane guerra che si scatenerà contro le sue idee - l'aneddoto secondo il quale il giovane monaco appena giunto in piazza del Popolo si sarebbe gettato a terra esclamando: "Ti saluto, Roma santa! Sì, veramente santa a motivo dei santi martiri del cui sangue grondi!"
2. Caravaggio e Jack Kerouac
SANTA MARIA DEL POPOLO
"Se l'Italia deve diventare la custode della chiesa, secondo la profezia, che cominci subito." "Garibaldi ha freddo, il cavallo è scoperto." "Raffaello, così languido." "Te la ricorderai, una ragazzina un po' maschile di Roma?" Sono alcune delle disordinate frasi su Roma che un giovane Alberto Arbasino sbircia sul taccuino di viaggio di Jack Kerouac nel corso di un incontro avvenuto nel 1966, per un'intervista alla quale lo scrittore statunitense, che dieci anni prima aveva pubblicato Sulla strada, si presenta in preda ai fumi della birra e del cognac.
Tornato negli Stati Uniti, Kerouac scrive al suo agente per fargli sapere che, "a parte la visita in Vaticano, a parte aver cantato alla meno peggio in un night-club romano e aver dipinto una Pietà con l'artista italiano Franco Angeli nel suo studio", il viaggio non ha avuto senso.
Kerouac era arrivato a Roma nell'autunno di quell'anno. Finisce in piazza del Popolo, "battuta dai venti e dalla luce come un mare", che all'epoca è luogo di ritrovo di un gruppo di giovani artisti tra i quali appunto Angeli, Fabio Mauri, Tano Festa, Mario Schifano e Giosetta Fioroni. Una sera lo scrittore, tanto per cambiare, si ubriaca e viene sbattuto fuori da un bar di via del Babuino. Franco Angeli lo incontra e lo porta nel suo studio. Il giorno seguente vanno insieme a vedere La conversione di San Paolo di Caravaggio, che si trova nella chiesa di Santa Maria del Popolo. L'olio su tela ritrae il momento in cui a Paolo, sulla via di Damasco, appare Gesù Cristo.
Angeli e Kerouac devono rimanerne molto colpiti. Tanto da decidere di dipingere a loro volta una tela ispirata all'opera di Caravaggio, che intitolano La Deposizione di Cristo. Di quest'opera a quattro mani dipinta da Kerouac con l'alfiere italiano della pop-art si perdono le tracce per anni. Nel 2011, in occasione di una mostra dedicata a Franco Angeli, si scopre che il quadro era stato acquistato dall'attore Gian Maria Volonté, che lo aveva visto per la prima volta nel 1968 nello studio di Angeli, in via dei Prefetti. Aveva subito manifestato l'intenzione di comprarlo ma il pittore, forse memore delle scorribande col compagno di sbronze Kerouac, in un primo momento non volle privarsene e disse che la tela non era in vendita. In seguito però, bisognoso di quattrini, accettò l'offerta.
Attualmente il quadro è a casa dell'ex moglie di Volonté, Armenia Balducci. Raffigura il Cristo deposto dalla croce con le braccia stese lungo il corpo, mentre il velo di Maria sembra un manto di sangue. In cielo vola una rondine.
3. Elsa Morante, l'utopia è il motore del mondo
VIA DELL'OCA 27
A pochi passi da piazza del Popolo, in via dell'Oca 27, ha vissuto per tantissimi anni Elsa Morante, l'autrice di Menzogna e sortilegio, L'isola di Arturo, Il mondo salvato dai ragazzini, La Storia. Morante ha d'altronde abitato in molte case e in molti quartieri della città, alcuni dei quali descritti nella Storia, libro definito dalla stessa Morante "un'Iliade dei giorni nostri". In questo romanzo, per il quale impose all'editore un prezzo popolare, si raccontano la Guerra e la Storia "opponendogli una donna insicura, un ragazzo, un bambino, un paio di cani", come affermava Cesare Garboli.
A Testaccio Morante è stata bambina, in via Amerigo Vespucci 41, dove adesso c'è una targa con un testo di Dacia Maraini. Trascorse moltissimo tempo anche nella meravigliosa villa della madrina Maria Guerrieri Gonzaga (oggi sede dell'Accademia tedesca, in largo di Villa Massimo), e da questa frequentazione trasse alcuni spunti per il suo primo romanzo, Menzogna e sortilegio. Visse con Alberto Moravia, sposato nel 1941, ai Parioli, in via Sgambati, nella casa di famiglia di lui e, dopo la lunga fuga durante la guerra (a Fondi e poi nelle isole di Procida e Capri), i coniugi abitarono nell'attico di via dell'Oca 27. Elsa aveva anche uno studio in via Archimede 16 e un piccolo appartamento in via del Babuino 46, ma è qui in via dell'Oca che si incontravano gli amici della coppia, intellettuali, scrittori, pittori e teatranti, e questo appartamento divenne uno dei luoghi più vitali della cultura romana del dopoguerra. Quando nel 1962 la Morante e Moravia si separarono, lei si trasferì per un periodo in via del Babuino, ma nel 1965 tornò nell'appartamento di via dell'Oca, che resterà per sempre la sua casa.
Donna libera nella vita e nella letteratura, Elsa Morante volle rivolgersi alla gioventù del '68 con le poesie e le canzoni del Mondo salvato dai ragazzini. Un'opera anomala che lei presentò così: "È un manifesto. È un memoriale. È un saggio filosofico. È un romanzo. È un'autobiografia. È un dialogo. È una tragedia. È una commedia. È un documentario a colori. È un fumetto. È una chiave magica. È un testamento. È una poesia." Goffredo Fofi aggiunse: "È un comizio. È una predica", spiegando "sembrano insulti e non lo sono, se appena si rende alle parole il loro significato più profondo: di invito (orazione) e di monito (spiegazione)." Scritto prima del '68, in qualche modo lo preannunciò.
Parlando di sé in terza persona, Elsa Morante ha scritto: "A chi le domanda il suo ideale politico, risponde che è un'anarchia, dalla quale si escluda ogni forma di potere e di violenza. Essa non ignora naturalmente che si tratta di un'utopia, ma è convinta, d'altra parte, che l'utopia è il motore del mondo e la sola, reale giustificazione della Storia. Anche il suo ideale privato è utopistico; e sarebbe quello di andare in giro per il mondo a fare il cantastorie."
Dopo una lunga serie di infermità e ricoveri (nella clinica Villa Margherita, dietro villa Torlonia), Elsa Morante morì a Roma nell'inverno del 1985. Gli amici, rispettando le sue volontà, sparsero le sue ceneri nelle acque dell'isola di Procida.
DA LEGGERE:
Elsa Morante, Il mondo salvato dai ragazzini, Torino, Einaudi, 2012.
Goffredo Fofi e Adriano Sofri (a cura di), Festa per Elsa, Palermo, Sellerio, 2011.
4. L'inchino blasfemo di Giuseppe Gioacchino Belli
VIA LECCOSA
Via Leccosa è ancora oggi una strada un po' angusta. Pare debba il suo nome al fango che la ricopriva a ogni piena del vicino Tevere, che la rendeva limacciosa e appiccicosa. Qui Vittorio De Sica girò una delle scene più strazianti del suo Umberto D., quella con i cani incatenati a un muro lercio e grigio.
Di questa antica strada parla, in un feroce sonetto, il grande poeta ribelle Giuseppe Gioacchino Belli. La poesia si intitola Il galateo cristiano ii, e si svolge proprio a via Leccosa, di certo non a caso, dato che racconta di una riverenza solo apparentemente devotissima. Un uomo incrocia un cardinale a bordo della sua lussuosa ed elegante carrozza con un ombrellino lezioso, nella Roma dell'epoca inequivocabile simbolo di grandissimo potere:
Incontrai jermatina a via Leccosa
un Cardinale drento a un carrozzino,
che, ssi nun fussi stato l'ombrellino,
lo pijjavi p'er leggno d'una sposa.
Ar vedemmelo llí, ppe ffà una cosa,
je vorzi dunque dedicà un inchino,
e mmessame la mano ar berettino
piegai er collo e ccaricai la dosa.
E acciò la conveggnenza nun ze...