Indice
La governante francese 11
Un giorno a Bolzano 85
Una piccola storia minimalista 131
Una passegiata 155
Sulle tracce di una generazione perduta 181
Una biografia
La governante francese
Il 4 dicembre del 1938 Louise Raffelsberger arrivò col treno delle cinque nella stazioncina di Colle Isarco.
Fu l'unica a scendere.
Di media statura, snella anzi magrissima, era vestita con eleganza tutta parigina: calze velate, scarpe col tacco, scollate, troppo leggere per quelle strade coperte di neve e, particolare molto importante, una sciarpa, un cosiddetto boa di piume di struzzo, o di chissà quale uccello esotico buttata intorno al collo. Dalle piume spuntava una piccola testa dai capelli neri cortissimi, la nuca scoperta, due riccioli tirabaci che sembravano dipinti sulle guance tanto erano perfetti, più una frangetta, liscia, lucidissima, a metà fronte. Un minuscolo cappellino si reggeva per miracolo in cima a quella testa capricciosa, sfidando ogni legge di gravità.
Gli occhi abbondantemente bistrati, la bocca ridotta a un cuore dipinto di rosso, un rosso scuro che faceva pensare ai vampiri, sembrava essere caduta lì, in quel paesino di montagna, da un altro pianeta: "possibile che sia tutto autentico?", si chiese infatti l'impiegato della stazione, "peccato, perché mi sembra una bella donnina, una che sa far girare la testa a un uomo. Ma prima bisognerebbe che si lavasse la faccia."
La giovane donna aveva posato la grossa borsa di tela per terra restando in attesa, intanto che si guardava intorno. Il treno era subito ripartito e lei non si muoveva ancora, mezza congelata dal freddo. L'impiegato della stazione si avvicinò:
'Aspetta qualcuno?', chiese, intimidito dagli occhi freddi della donna che lo stava misurando dalla testa ai piedi.
'Monsieur Pichler. Je lui écrit. il n'est pas ici. Vous le connaissais?' La sua voce era acuta, come di persona vicina a una crisi di nervi. Parlava uno strano francese con forte accento di chiara provenienza viennese. L'uomo, pur non conoscendo la lingua francese, capì e sorrise:
'Certo che lo conosco. Chi non lo conosce qui?'
In quel momento arrivò appunto il signor Pichler, trafelato per la corsa.
'Excusez-moi Mademoiselle. je suis en retard..' La signora, con eleganza squisita, celando a stento una certa impazienza, gli porse subito una piccola mano inguantata di pelle nera: l'impiegato della stazione seguì con gli occhi tutta la scena, affascinato, anzi perso dietro quella manina che sembrava tanto bisognosa di protezione. Quanti anni poteva avere quella personcina così graziosa? Poco più di trent'anni portati bene, pensò, mentre il signor Pichler si piegava in due a baciare, o meglio a sfiorare appena appena con le labbra quella zampetta nervosa. Un gesto da vero gentiluomo che nessuno meglio del signor Pichler avrebbe saputo fare: anche questo notò l'impiegato della stazione e rifletté a lungo su come sia possibile piegarsi in due e nello stesso tempo porgere la mano con tanta eleganza. Concluse che ci voleva molto esercizio. Appena i due uscirono dalla stazione provò a ripetere lo stesso gesto davanti alla sua scrivania e poco mancò che non battesse la testa contro lo spigolo. Troppo profondo, commentò, ci vuole misura.Così cominciò la storia della francese a Colle Isarco: fu infatti soprannominata la francese prima per il suo aspetto esotico, del tutto fuori posto in quel paese di montagna, e poi perché si venne a sapere che veniva direttamente da Parigi. La donna che faceva i servizi in casa Pichler si era premurata di spargere la notizia qualche ora dopo.
Mademoiselle Louise era la nuova governante.
Il signor Pichler infatti si piccava di volere una francese per i suoi tre figli, orfani di madre, e nessuno ne aveva capito il motivo: certamente la donna parlava francese, per lo meno così si diceva, ma la sua origine era austriaca. Su questo nessuno ebbe dubbi; Mademoiselle Louise parlava francese col padrone e con i ragazzi - meglio sarebbe aggiungere subito che si trattava solo dell'ultimo figlio, ancora un ragazzino, dato che i due maggiori studiavano a Bressanone e venivano solo per le vacanze - mentre col personale sempre in perfetto viennese.
Il signor Pichler, proprietario di mezzo paese e di diversi terreni nei dintorni, aveva viaggiato molto, soprattutto in Francia, più precisamente sulla Costa Azzurra, dove aveva anche sperperato buona parte del patrimonio della moglie. E questo lo sapevano tutti.
Lui della Francia non amava soltanto la lingua. Di quel paese amava tutto: la cucina, le sale da gioco e in modo particolare le donne.
Una ventina di anni prima aveva sposato un'austriaca, una baronessa, figlia di gente assai ricca, con una dote che aveva fatto gola a più di un giovanotto: una rispettabile somma in denaro più proprietà terriere, soprattutto in Sudtirolo, e una bellissima villa a Gossensass, che portava il nome di una montagna che sovrasta appunto quella vallata, fatta costruire dal padre della ragazza già agli inizi del secolo. Come molti austriaci di alto livello sociale, anche la famiglia del barone viveva buona parte dell'anno fra Vienna e Innsbruck, ma amava attraversare le Alpi per trascorrere almeno tre mesi estivi in Sudtirolo.
In seguito alla costruzione della linea ferroviaria del Brennero, nella seconda metà del XIX secolo e con la scoperta di una fonte di acque termali, Colle Isarco, allora ancora Gossensass, era diventato un piccolo centro di un certo significato turistico, frequentato soprattutto da artisti tardo-romantici, come Ibsen, Schnitzler, Hugo von Hoffmannsthal e altri che cercavano fra quelle montagne ispirazione e riposo dalla vita assai turbolenta delle grandi città.